Cellule staminali, la rete dei trapianti

La diagnosi spuntò dal referto di un banale esame del sangue: «Leucemia acuta mieloide», un tumore maligno che colpisce il midollo osseo e i suoi globuli bianchi.

StefaniaAngeli, 44 anni, due figli, cominciò un intenso ciclo di chemioterapia, guardando al trapianto dimidollo come alla sua possibile salvezza. In famiglia, però, non c’era un donatore compatibile. Le sue condizioni cliniche precipitavano. «Era il 2006», racconta William Arcese, primario oncoematologo nel policlinico Tor Vergata. «Mancava il tempo per la ricerca di cellule staminali idonee sui registri dei donatori internazionali. Restava la carta del trapianto da un familiare semicompatibile». Una procedura complessa, eseguita in centri ematologici che in Italia si contano sulle dita di una mano. «Mi sento miracolata», dice ora Angeli. «Molti medici», racconta, «mi consigliarono l’Ematologia di TorVergata. Da qui, con grande fatica, ho ricominciato. Lo devo all’incontro con sanitari di alta professionalità e grande umanità che è una leva indispensabile per riprendersi la vita». «La tecnica utilizzata in quell’intervento», spiega Arcese, «ha fatto da apripista a procedure adottate dalla Rete metropolitana dei trapianti». Già, il "Rome transplant network": è nato due anni fa dall’idea che il primario accarezzava da tempo: «Le malattie del sangue si combattono insieme», ripeteva ai colleghi. «Uniti possiamo contrastarle nel modo più efficace. Forse, sconfiggerle». Così, insieme nel Network, sette reparti ematologici di altrettanti ospedali (Tor Vergata, Sant’Andrea, San Giovanni, ReginaElena, Sant’Eugenio, Bambino Gesù, Campus Biomedico), oggi eseguono tutti i tipi di trapianto di cellule staminali con trattamenti omogenei nelle procedure e affidando gli interventi in base alle competenze acquisite. «Condividere il lavoro di ciascun centro valorizzandone le specializzazioni», ancora Arcese, «avvantaggia la Rete, il malato e le casse del Servizio sanitario». Semplice e vincente, quell’idea è stata tradotta in numeri e alta specializzazione: 172 trapianti eseguiti ne12008 (sui 448 nel Lazio) e in 20 di questi sono state impiegate cellule staminali donate da familiari "semicompatibili". Ora che la Rete è stata collaudata in un biennio di intesa, lui e i suoi colleghi degli altri centri Luciana Annino (San Giovanni), Giuseppe Avvisati (Campus Biomedico), Paolo De Fabritiis (Sant’Eugenio), Giulio De Rossi (Bambino Gesù), Bruno Monarca (Sant’Andrea), Concetta Petti (Regina Elena) – scrivono soddisfatti: «Dal registro del Gruppo italiano Trapianto del Midollo osseo, risultiamo primi in Italia per numero di interventi». Tredicesimo in Europa. Il Network assicura, tra i pochissimi centri del Paese, ogni tipo di intervento: dall’autotrapianto, quello con cellule proprie (autologhe) al trapianto allogenico, dal trapianto da donatore familiare compatibile a quello da volontario reperito nei registri internazionali. Si eseguono anche trapianti da un donatore familiare semicompatibile o dal sangue di cordone ombelicale ottenuto da una delle decine di banche mondiali. «Il trapianto ottimale? Quello da un fratello o da una sorella compatibile», spiega Arcese. «È il più accreditato». «Ma», sottolinea, «solo il 30% dei pazienti ha questa"disponibilità". Per gli altri malati, la maggioranza, si è costretti a ricorrere a fonti diverse». «Con più donazioni di cellule staminali, da volontari adulti e dal sangue del cordone ombelicale», conclude, «si risponderebbe meglio al fabbisogno crescente di cure trapiantologiche».