Bisturi biotech

Valentina Murelli

 

Iniezione di anestetico, incisione e chiusura della ferita: sono i gesti di sempre. Che però cambiano ogni giorno, trasformati dall’ingresso in sala operatoria delle bìotecnologie.

Che trasformano i materiali e gli strumenti. Con molta creatività. A partire dall’ago "intelligente" messo a punto nel laboratorio di Jeffrey Karp della Harvard Medical School di Boston. Un ago capace di fermarsi quando raggiunge il suo obiettivo, che si tratti di una vena o dello spazio epidurale, riducendo così il rischio di complicazioni. «Ho cominciato a pensarci quando mia moglie ha partorito, riflettendo sulle possibili complicanze dell`anestesia epidurale, come la cefalea dovuta alla perforazione accidentale di un tessuto sbagliato», racconta Karp. La soluzione (ispirata ad alcuni dispositivi dell’industria petrolifera) è un ago cavo a forma di S che contiene un filamento di plastica. Quando si applica una lieve pressione nel punto dell’iniezione il filamento, incapace di penetrare un tessuto sodo come la pelle o i muscoli, si ripiega nel tubicino cavo. Man mano che si applica nuova forza, però, tubo e filamento cominciano a muoversi insieme, e quando si raggiunge la cavità desiderata il filamento riesce finalmente a uscire bloccando l’avanzata dell`ago, che rimane in sede. Karp è un ingegnere chimico con la passione per la medicina, e insieme a una ventina di colleghi ha sviluppato anche un tessuto adesivo biocompatibile e biodegradabile che potrebbe rivelarsi utile per sigillare ferite, sostituendo (o affiancando) suture e punti metallici. Il nuovo "cerotto" chirurgico è un esempio brillante di biomimetica. «Siamo partiti da un polimero sintetico e ne abbiamo modificato la superficie, copiando quella delle zampe dei geco, che permette all`animale di camminare anche in verticale», racconta il bioingegnere. Il risultato è un materiale contemporaneamente elastico e adesivo, capace di adattarsi a varie deformazioni rimanendo incollato ai tessuti sottostanti. «Pensiamo che potrebbe essere utile soprattutto per sigillare ferite di organi interni, come stomaco o polmoni». E Karp è già stato contattato da 25 compagnie biotech interessate allo sviluppo del prodotto. Del resto, quello di colle, adesivi e sigillanti è uno dei settori più ricchi di innovazioni in ambito chirurgico. Negli ultimi anni, varie aziende hanno proposto collanti liquidi che si applicano con un dispositivo simile a un pennarello o reti adesive per suture. O anche sistemi, come il Prineo della Ethicon, che mettono insieme le due cose: una rete flessibile da "srotolare" sulla ferita e un adesivo liquido che, una volta applicato sulla rete, forma una pellicola impermeabile. Prodotti di questo tipo cominciano a diffondersi soprattutto in chirurgia plastica: «Un settore in cui, più ancora che in altri, è importante ridurre al massimo l’impatto delle cicatrici», afferma Francesco D’Andrea, ordinario di Chirurgia plastica alla seconda università di Napoli. Colle e reti adesive permettono di richiudere più velocemente le ferite e sono facili da rimuovere. «Noi li utilizziamo soprattutto per interventi di addominoplastica e di riduzione o ricostruzione del seno, ma anche per i lifting», spiega l’esperto: «Sarebbero molto utili anche in chirurgia d`urgenza, ma il loro uso è limitato dai costi elevati». Una precisazione, però, è d’obbligo: al momento attuale, colle e reti non sostituiscono le suture, le accompagnano soltanto. I punti interni si mettono comunque, anche se spesso si possono evitare quelli esterni. Prima che un chirurgo decida di affidare la tenuta di una sutura a una colla, occorrono dimostrazioni certissime. Che oggi ancora non abbiamo», afferma Carlo Staudacher, direttore dei Dipartimento di chirurgia generale e specialistica dell’Istituto San Raffaele di Milano. Ormai ampiamente apprezzate, invece, sono le ultime novità biotech in fatto di emostasi, il controllo del sanguinamento. Si tratta di prodotti a base di sostanze coinvolte nella coagulazione (come la trombina o il fibrinogeno, di origine umana o animale), intrappolate in una matrice gelatinosa: si spremono come ima crema o si tamponano come una spugna, arrestando velocemente la perdita di sangue. «Questi prodotti hanno sostituito il tamponamento meccanico e l`empirica pratica del chirurgo che riempiva la ferita di garze, la richiudeva e la riapriva un paio di giorni dopo sperando che l`emorragia fosse cessata», afferma Staudacher. I primi a utilizzare il biotech in sala sono stati gli ortopedici. All’Istituto ortopedico Rizzoli di Bologna il laboratorio di biomeccanica e innovazione tecnologica ha sperimentato sistemi a base di staminali per la rigenerazione del tessuto osseo e di cellule della cartilagine per il trattamento delle lesioni della cartilagine stessa: le cellule sono prelevate dal paziente, espanse in laboratorio e sparse su una speciale ceramica porosa oppure su un’impalcatura a base di acido ialuronico ingegnerizzato e infine impiantate nel paziente. La tecnica, però, è molto costosa e si stanno cercando alternative. «Lavoriamo allo sviluppo di biomateriali intelligenti che, dopo l`impianto, siano in grado di indirizzare le cellule staminali naturalmente presenti nel sangue del paziente a differenziarsi formando nuova cartilagine oppure nuovo tessuto osseo. Il tutto senza bisogno di trapiantare cellule», spiega Elizaveta Kon, dirigente medico del Rizzoli. La tecnica è oggetto di una grande sperimentazione internazionale appena iniziata. Un’innovazione analoga è allo studio anche per riparare le lesioni del menisco: Kon e colleghi stanno lavorando a una protesi sintetica in poliuretano che viene impiantata nel ginocchio del paziente. «A poco a poco la protesi viene " abitata" da vari tipi di cellule, che cominciano a depositare una matrice, fino a dare origine a una struttura che riproduce il ruolo del menisco». Ma non tutti credono che il futuro dei biotech in sala operatoria sia nei biomateriali sintetici. «Non sempre i materiali sintetici fanno un buon lavoro: ci stiamo chiedendo se in alcuni casi non sia meglio utilizzarne di naturali come il collagene", ha affermato l’amministratore delegato dell’azienda americana Organogenesis, Geoff MacKay. In realtà Organogenesis un prodotto di questo genere in portafoglio ce l’ha: un’impalcatura di collagene riassorbibile e ingegnerizzabile per diverse applicazioni, utilizzata per una protesi per la terapia di un’anomalia cardiaca in cui i due atri del cuore non sono separati come dovrebbero, ma possono comunicare attraverso un foro. La protesi forma una sorta di doppio ombrello che chiude il foro; con il tempo, la maggior parte dell’impianto viene riassorbita e sostituita da tessuto del paziente. Ma mentre aziende e ricercatori si sbizzarriscono nel proporre diavolerie di ogni genere, i chirurghi fanno i conti. Perché, afferma Marco Montorsi, responsabile dell’Unità operativa di chirurgia III dell’Istituto clinico Humanitas di Rozzano: «Le novità in genere sono molto care e non sempre a un aumento dei costi corrisponde una documentata e migliore efficacia di trattamento». Per dare una mano ai propri medici nella scelta, alcune strutture si sono dotate di un`unità di valutazione delle tecnologie. Lo ha fatto, per esempio, il Policlinico Gemelli di Roma: l’unità riceve dai medici dei policlinico la segnalazione di nuovi prodotti o dispositivi (magari conosciuti durante un convegno o presentati direttamente dalle aziende produttrici) e offre un’indicazione sulla reale opportunità dell’introduzione. “Verifichiamo se ci sono prove scientifiche a favore della loro efficacia e cerchiamo di capire che cosa cambierebbe per i pazienti e perla nostra struttura, in termini di costi e di organizzazione, in seguito al loro ingresso», afferma il responsabile Marco Marchetti. Di certo c’è che le richieste sono in netta crescita: 28 domande nel biennio 2006-2007, 33 nel 2008, 23 nei primi sei mesi del 2009, relative non solo all’ambito chirurgico. E l’esito della valutazione? Finora, è stata completata per 65 tra prodotti e dispositivi: 12 sono stati rifiutati, 21 introdotti in modo “controllato” (cioè solo per particolari gruppi di pazienti) , 25 introdotti senza riserve. In 7 casi la richiesta di introduzione è stata ritirata, dopo una più attenta valutazione, dagli stessi clinici che l’avevano proposta.