In questo blog faremo spesso riferimento alla filosofia, prospettandola come uno strumento teorico al servizio di importanti battaglie pratico-politiche. Perciò in questo primo intervento cercherò di esporre con chiarezza la mia concezione di questa disciplina.
Contro il perdurante pregiudizio del sapere filosofico come di una attività lontana dalla vita e dai suoi bisogni ho sempre difeso l’idea di una stretta connessione fra vita e filosofia, dovuta al fatto che quest’ultima nasce dalla vita e dai suoi problemi. Tant’è che una tradizione di pensiero che va da Platone agli esistenzialisti ha sostenuto che non si può essere uomini senza essere, in qualche modo, filosofi, cioè senza interrogarsi criticamente su una serie di questioni di fondo che riguardano la nostra esistenza: «non ci sarebbe la filosofia dei filosofi se l’uomo non fosse condotto a filosofare dalla sua vita stessa di uomo»(N. Abbagnano).
Contestualmente, ho difeso la “inaggirabilità” della filosofia, sostenendo che se in quanto animali non possiamo fare a meno di respirare e nutrirci, così, in quanto animali razionali, non possiamo fare a meno di riflettere e di fare filosofia. Perciò, all’antico detto latino secondo cui primum vivere, deinde philosophari (prima vivere, poi filosofare) ho contrapposto l’idea che se per “vita” non si intende quella puramente biologica (nutrirsi, bere, dormire ecc.) ma quella propriamente umana e sociale, vivere è già filosofare: ossia affrontare ad occhi aperti il proprio destino e porsi chiaramente i problemi che risultano dal proprio rapporto con se stessi, con gli altri uomini e con il mondo. Per usare un’espressione presente nei pensatori greci, la filosofia è vita “da svegli”, cioè di individui che affrontano la loro esistenza non in maniera passiva bensì attiva, non in maniera inconsapevole bensì consapevole.
Di conseguenza, come non è possibile vivere senza riflettere sulla vita, così non è possibile esistere senza assumere un atteggiamento complessivo di fronte alla realtà e, quindi, senza muoversi in una determinata visione del mondo: «Ogni uomo vive in una cultura, in un certo tipo o forma di civiltà, e partecipa agli usi, ai costumi, alle credenze che la costituiscono. E usi, costumi, credenze, delineano nel loro insieme un atteggiamento di fronte al mondo che a sua volta obbedisce a una visione complessiva del mondo stesso» (N. Abbagnano). Anche coloro che pensano di non avere una filosofia (o di non averne bisogno) in realtà ne possiedono già una, spesso assunta inconsapevolmente dalla tradizione e dall’ambiente circostante. Tant’è che la vera alternativa non è tra fare e non fare filosofia, ma tra fare filosofia in modo inconsapevole e irriflesso (come avviene nella vita comune) e fare filosofia in modo consapevole e riflesso (come fanno i filosofi).
Proprio perché la filosofia è parte integrante della vita e del sapere, essa ha inevitabili ricadute pratiche, che in certi casi sono maggiori di quello che ordinariamente si ritiene. Per motivare questa tesi basta ricordare, come ha fatto in più occasioni Norberto Bobbio, che le tre grandi ideologie politiche che hanno condizionato in profondità il mondo moderno (liberalismo, democrazia e socialismo) hanno le loro matrici teoriche nel pensiero di filosofi come Locke, Rousseau e Marx.
La stessa cosa può dirsi anche per altri importanti movimenti di idee dei giorni nostri ( quelli per la pace, per la parità dei diritti, per la salvaguardia dell’ambiente e delle generazioni future, per una adeguata qualità di vita, per una morte dignitosa ecc.). Movimenti che hanno suscitato e suscitano dibattiti in cui l’apporto della filosofia è notevole e, in certi casi, determinante.
Niente di più falso, quindi, della superficiale battuta secondo cui «la filosofia è quella cosa con la quale o senza la quale il mondo rimane tale e quale». Al contrario, contro di essa, sostengo da sempre che «la filosofia è quella cosa con la quale o senza la quale il mondo non rimane affatto tale e quale».
Perciò non è vero, come affermava Hegel, che la filosofia giunge sempre “a cose fatte” (in quanto forma di riflessione su eventi già accaduti) Essa è piuttosto parte costitutiva del farsi della storia del mondo e i filosofi hanno spesso anticipato idee e modi di vita che hanno preso piede secoli dopo.
Di conseguenza, più che ai filosofi che hanno insistito su una visione “contemplativa” della filosofia, mi sento vicino a quelli che ne hanno sottolineato la funzione “attiva”. In particolare, mi sento vicino al modello incarnato da Platone, il quale ha prospettato la filosofia come l’uso del sapere a vantaggio dell’uomo, sostenendo che il compito del filosofo non si esaurisce nell’attività puramente teorica, ma implica nel contempo un impegno nella trasformazione del mondo umano e quindi un proficuo mettere a disposizione della comunità il risultato delle proprie riflessioni.
Impegno che oggi, come sappiamo, si esercita anche nei confronti della libertà di scelta di fronte alla morte e di una legge che la tuteli. Su ciò torneremo specificamente nei prossimi interventi.
Giovanni Fornero è un filosofo dai molteplici interessi, che si è occupato di ambiti diversi. Dopo aver esordito come storico della filosofia e continuatore dell’opera di Abbagnano, si è poi occupato di bioetica e laicità. Ultimamente si è concentrato sul diritto e, in particolare, sulle questioni relative alla legalizzazione del suicidio assistito e dell’eutanasia volontaria.