Le prestazioni sociosanitarie e le liste d’attesa: l’assenza ingiustificabile dal PNGLA

Il nuovo Piano Nazionale di Governo delle Liste d’Attesa viene presentato come la risposta sistemica ai ritardi nell’erogazione di visite ed esami, con l’obiettivo dichiarato di garantire maggiore trasparenza, tempi certi e tutele per gli utenti. Tuttavia, dentro questo impianto che ambisce alla modernizzazione del sistema, continua a persistere un vuoto enorme: quello dei servizi sociosanitari. RSA, interventi per la disabilità, residenzialità psichiatrica, centri diurni e assistenza domiciliare integrata restano completamente fuori dal perimetro del Piano, nonostante siano prestazioni riconosciute come Livelli Essenziali di Assistenza e finanziate dal Fondo sanitario nazionale. Non compaiono nelle tabelle dei tempi massimi, non sono associate a percorsi di tutela, e non esistono per esse standard nazionali di pubblicità delle graduatorie o di presa in carico entro tempi determinati. L’effetto è immediato: per migliaia di persone, l’attesa non ha limiti né garanzie.

Ne deriva un Paese a due velocità. Per una prestazione diagnostica, il cittadino può invocare tempi precisi e un quadro normativo che ne tutela il diritto; per un posto in RSA, per l’ingresso in una struttura per persone con disabilità grave o per avviare un percorso di cura residenziale in ambito psichiatrico, la stessa persona si ritrova relegata in un limbo amministrativo senza scadenze. Accade così che individui che hanno già superato la valutazione UVM/UVG, ai quali è stato riconosciuto un bisogno sanitario e approvato un progetto assistenziale personalizzato, rimangano per mesi – spesso anni – con la sola etichetta di “collocato in graduatoria”, espressione che nasconde la totale assenza di un termine entro cui la prestazione deve essere garantita. È una distorsione che amplifica le differenze territoriali e che si pone in evidente contrasto con il principio di uguaglianza e con il diritto alla salute sancito dalla Costituzione. È incomprensibile che una prestazione sanitaria tradizionale debba essere erogata entro limiti certi, mentre una prestazione sociosanitaria, pur definita essenziale, sia lasciata oscillare tra disponibilità di posti, bilanci regionali e scelte amministrative mutevoli. Un’anomalia normativa e culturale che ricade proprio su chi è più fragile e sulle famiglie già gravate da responsabilità di cura.

In un contesto così carente, il cittadino è costretto a farsi carico di azioni di tutela. La prima è l’accesso agli atti: chiedere formalmente contezza della propria posizione, dei punteggi utilizzati per la valutazione, delle regole di priorità e dello storico degli scorrimenti. Obbligare l’amministrazione a mostrare i dati riduce lo spazio per arbitri e inerzie. Fondamentale anche richiedere aggiornamenti periodici, sempre per iscritto, sulla situazione della graduatoria e sui posti effettivamente disponibili. Quando l’attesa supera ogni ragionevolezza o il bisogno è particolarmente urgente, diventa necessario presentare una diffida formalizzata, richiamando il carattere essenziale delle prestazioni sociosanitarie, l’obbligo di assicurare i LEA e la giurisprudenza che tutela il nucleo incomprimibile del diritto alla salute. Nei casi più gravi, soprattutto quando la mancata presa in carico produce un danno diretto alla persona o alla famiglia, è possibile valutare il ricorso al giudice amministrativo o civile per ottenere l’attuazione del progetto individuale o la prestazione in deroga*. Non si tratta della via preferibile, ma spesso è l’unica che interrompe lo stallo istituzionale. 

Non dovrebbe essere così. Un sistema sanitario “ambulatorialecentrico” che ignora le persone con bisogni complessi e di lunga durata rinuncia alla propria funzione pubblica più fondamentale. Finché il PNGLA continuerà a lasciare fuori l’integrazione sociosanitaria, il diritto alla salute resterà solido solo per le esigenze “semplici”, mentre diventerà incerto e contrattabile per chi necessita di percorsi assistenziali continuativi. Portare i servizi sociosanitari dentro il PNGLA non è mero tecnicismo amministrativo: è una scelta politica, culturale e civile. È il passo che ancora manca per superare la distanza storica tra sanità e sociale, per realizzare davvero l’integrazione sociosanitaria e per ridurre diseguaglianze che oggi gravano soprattutto sulle persone con cronicità, disabilità e non autosufficienza. Un sistema moderno non può più permettersi di relegare il bisogno più fragile ai margini della programmazione nazionale.

*Consiglio di Stato nella sent. n. 1 del 2020:

“[…] Ritiene il Collegio che una volta individuate le necessità dei disabili tramite il Piano individualizzato, l’attuazione del dovere di rendere il servizio comporti l’attivazione dei poteri -doveri di elaborare tempestivamente le proposte relative all’individuazione delle risorse necessarie a coprire il fabbisogno e, comunque, l’attivazione di ogni possibile soluzione organizzativa. […]…”