Noi ragazze Roki non ci nasconderemo più

C’è una condizione femminile congenita che è ancora tabù

Articolo di Edoardo Rosati per Gente

Nel cuore grande di una adolescente parole come “ciclo mestruale”, “sessualità”, “maternità”sono universi tutti da scoprire. Realtà e sogni che definiscono l’esistenza di una ragazza e della donna che sarà. Immaginatevi ora che qualcuno decida di cassare brutalmente quelle tre parole dal vocabolario di una giovane. Di sbriciolare ogni sua aspettiativa. Come un calcio a un castello sulla sabbia. Quel qualcun ha un nome e cognome: sindrome di Rokitansky.

L’etichetta deriva dal barone Karl von Rokitansky, medico viennese vissuto nell’Ottocento. Fu lui a studiare una condizione congenita femminile: l’assenza dell’utero e dei due terzi superiori del canale vaginale. Le cause? Mistero. È un quadro anatomico silenzioso, che non provoca sostanziali problemi di salute, sebbene possano essere presenti anomalie a carico di reni, cuore, udito e colonna vertebrale. Le donne coinvolte, una ogni 4 – 5 mila non accusano disturbi: normali sono l’aspetto fisico e lo sviluppo dei genitali esterni, normali e funzionanti risultano le ovaie e normale è il corredo genetico. Poi, però, quando le stagioni della vita cominciano a bussare alla porta di una ragazza, la sindrome di colpisce alle spalle perché l’attesissima prima mestruazione non compare.

“A 14 anni mi sono sottoposta a una serie di visite, affrontando pure un intervento, ma senza capirne il motivo. Solo a 18 ho compreso il problema” confessa Viola, 24 anni, animata da una tracimante passione per il teatro.”Io l’ho scoperto a 16 anni.

“Io Ricordo, dopo la visita, la voce sommessa del ginecologo che diceva a mia madre: “Sua figlia non potrà mai avere figli”, aggiunge la diciottenne Giulia, che studia sartoria per lavorare nel mondo della moda.

Viola, Giulia. Due ragazze radiose che una crudele onda anomala ha inghiottito in un gorgo di domane, disagi, tormenti, imbarazzi. “Il mio cuore e la mia anima sono esplosi” ha scritto Viola in un monologo teatrale. E Giulia: “E io che già da piccina sognavo la mia bella famiglia”.

La medicina come cerca di porre rimedio? La clinica Mangiagalli di Milano, della Fondazione Irccs Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, è centro di riferimento per lo studio e il trattamento della sindrome. ” Alla diagnosi si arriva dopo vari accertamenti: visita ginecologica, esami del sangue, ecografia dell’addome, risonanza magnetica…Spesso la risposta non è così immediata: una donna può peregrinare per anni da un medico all’altro, perché parliamo di una condizione rara e ancora poco nota”, rimarca la dottoressa Elisa Restelli, ginecologa referente del centro di riferimento altamente specializzato diretto dal dottor Giorgio Aimi. “Ci rivolgiamo ad una popolazione femminile che abbraccia tutte le età e perciò offriamo un percorso diagnostico-terapeutico personalizzato”. L’obiettivo: il completamento del canale vaginale, quando necessario, per consentire alle donne una normale vita sessuale. Due sono le strade. C’è la chirurgia mini-invasiva, in laparoscopia (senza tagli). “La sua efficacia è consolidata e i risultati dal punto di vista anatomico e funzionale sono sorprendenti.” Ed esiste un’altra alternativa non chirurgica e altrettanto efficace. “L’applicazione di un tutore vaginale per pochi minuti al giorno per un lasso di tempo variabile”, spiega Restelli.

Per la cronaca, il tema della dottoressa Cinzia Marchese del Policlinico Umberto I di Roma ha anche sviluppato una procedura sperimentale, una mucosa vaginale ottenuta con le cellule staminali della stessa paziente Ma la Rokitansky è un sisma che scuote la psiche.

“Ti senti diversa, visto che non hai le mestruazioni come tutte le nostre amiche”, dicono Giulia e Viola, “e al dolore sommi dolore” aggiungendo quest’ultima, “perché certe compagne, beatamente lontane dall’inferno che stai vivendo, si divertono pure a prenderti in giro”.

Ecco perché la Mangiagalli offre anche un imprescindibile supporto psicologico, gestito dalla dottoressa Giada Gramegna, che organizza incontri individuali, di gruppo e familiari. È qui che le nostre ragazze si sono conosciute.

“Ho sempre cercato di reagire con fermezza” interviene Giulia, “ma quando ho ascoltato il racconto di Viola mi sono sciolta in un pianto liberatori.

Viola ha il tatuaggio del sole su un polso e quello della luna sull’altro. Una suggestiva sintesi dello stato d’animo delle due testimonial: la voglia di uscire alla luce del giorno per denunciare e abbattere lati oscuri, reticenze e tabù. Sì, perché le ragazze “Roki” possono materializzare il sogno di diventare madri o con l’adozione o ricorrendo alla maternità surrogata. Che però in Italia, per l’articolo 12 della Legge 40 del 2004, è reato. Molti sono i paesi che hanno regolamentato la “gestazione per altri” e lo scenario è in continuo mutamento.

Sulla caldissima questione i sentimenti di Viola e Giulia viaggiano all’unisono: “Per chi non ha questo problema è facile dire: ‘Be’, puoi adottare un bimbo’ “, dice la prima. E l’altra: “Alla nascita mi è stato rifiutato il diritto di procreare. Perché deve negarmelo il mio Paese?”

“È la nostra battaglia”, dice Maria Laura Catalogna, 34 anni, che a 11 anni ha appreso di essere “Roki”  che oggi guida un’Associazione (www.animrkhs-onlus.org). “Diciamo no al mercimonio, all’utero in affitto, ma sì alla gestazione etica e regolamentata, alla maternità solidale: cioè alla possibilità, per noi e le altre donne che non possono affrontare gravidanze, di chiedere aiuto a un’altra donna, alleata e donatrice. Senza compenso alcuno ma solo in base ad una serie di precise tutele” spiega Catalogna.

È la proposta di legge di diversi organismi, come l’Associazione Luca Coscioni. La maternità surrogata non è una follia né uno scandalo: è una terapia”. Se si fanno chiamare “le Roki” è perché sul ring della vita queste donne sono toste e combattive come pugili.