Intanto ringrazio il segretario Filomena Gallo, con la quale stiamo seguendo molti ricorsi sulla questione della fecondazione assistita. Dato il tempo disponibile limitatissimo, vorrei dare degli elementi utili alla elaborazione del dibattito. Primo punto, la premessa. Secondo punto: Quali sono gli strumenti che nel nostro ordinamento ci consentono già da oggi di addivenire ad una dichiarazione anticipata di trattamento e testamento biologico che sia valida ed efficace. Punto tre: Quali sono i fondamenti normativi di ciò. La premessa è una premessa necessaria. E’ l’innovazione tecnologica, con i suoi risvolti in campo biomedico, che determina l’esigenza di stabilire dei paletti chiari su come la volontà del soggetto deve essere espressa e su quali sono gli indici di liceità e di efficacia di quella volontà. Perché altrimenti qual è il paradosso che si rischia? Il paradosso è che consentire che il processo biologico si evolva secondo il suo iter naturale, evitando l’intervento di ausili tecnologici forzati che coartino la volontà di chi non ritiene di doversi installare un idratatore artificiale, porterebbe alla conseguenza, alla creazione di un paradosso e cioè che l’innovazione tecnologica posta al servizio di un ampliamento della libertà di scelta, diventa paradossalmente invece una forma di restrizione della libertà di scelta, nella misura in cui non consente al soggetto di scegliere liberamente com’è stato almeno negli ultimi 20 anni, con la fine del paternalismo medico e l’inizio di quel percorso di alleanza terapeutica, non consenta di scegliere liberamente al soggetto di disporre della propria entità corporea, proprio perché un terzo, il medico, oppure lo Stato come sarebbe nell’ipotesi dovesse essere approvato il disegno di legge Calabrò, impongono l’utilizzo di quegli ausili a prescindere dall’acquisizione della volontà del soggetto. Quali sono gli strumenti che nel nostro ordinamento sono già a disposizione, a mio avviso, e bene hanno fatto molti tribunali a prenderne atto, per consentire a questa volontà del soggetto di disporre della propria entità corporea rispetto a queste possibilità biomediche, non obblighi biomedici? Il primo è sicuramente costituito da quello che sta facendo il notaio ora, cioè dalla carta di autodeterminazione, cioè da una dichiarazione di volontà che abbia le caratteristiche della data certa e della firma autografa certa e in buona sostanza autenticata, che esprima la volontà del soggetto nell’ipotesi in cui lo stesso, nel momento in cui lo stesso non fosse più capace di intendere e di volere, rispetto alla sorte della propria entità corporea su trattamenti sanitari quali l’idratazione, l’alimentazione, la nutrizione, la somministrazione di antibiotici e così via dicendo. Devo precisare che nell’esperienza che abbiamo avuto con la Luca Coscioni e con altre associazioni, questa dichiarazione di volontà può essere fatta tramite il notaio, ma ben potrebbe a nostro avviso essere fatta anche con una sorta di autodichiarazione che uno si manda con una raccomandata a/r a se stesso per dargli la data certa, che uno struttura con l’indicazione anche di un fiduciario che dovrebbe attivare la procedura e che uno dovrebbe conservarsi proprio nell’eventualità in cui essa dovesse essere necessaria. Abbiamo un’esperienza ad esempio in Regione Toscana, per cui la commissione regionale di bioetica ha posto questa problematica e il consiglio sta valutando se inserire obbligatoriamente nella tesserina sanitaria che dovrebbe essere poi la cartella clinica elettronica del cittadino, pure la dichiarazione di volontà rispetto al trattamento nell’ipotesi di incapacità. Questa ovviamente sarebbe una soluzione che consentirebbe in automatico di far sì che quella volontà diventi rilevante. Secondo strumento a disposizione, l’amministrazione di sostegno. L’amministrazione di sostegno, ex art. 408 comma 2 del codice civile, e molti giudici ne hanno già fatto a partire dal tribunale di Modena del 2008, ne hanno già fatto utilizzo, consente di nominare oggi un amministratore di sostegno nella figura del coniuge o della persona più vicina al soggetto, che avrebbe la disponibilità di manifestare quella volontà del soggetto nell’ipotesi di una futura incapacità dello stesso. La norma lo consente espressamente. Alcuni giudici ne hanno fatto uso, sulla base del ricorso fatto dal cittadino, per consentire al coniuge, ad esempio, ed è la possibilità anche reciproca, cioè vicendevole, per consentire ai coniugi uno in favore dell’altro, con una scrittura privata depositata tramite il ricorso al giudice, di eseguire la volontà manifestata, quindi non voglio essere attaccato ad un respiratore artificiale, nell’ipotesi in cui il soggetto non la potesse utilizzare perché è diventato incapace. Fondamento normativo: Non si tratta soltanto di affermazioni apodittiche, ma si tratta di affermazioni che hanno un fondamento fondativo, in primis nella carta costituzionale laddove si dice che nessuno può essere sottoposto ad un trattamento sanitario contro la sua volontà, ma io direi anche al secondo comma di quella norma che dice che quella legge non può comunque violare i limiti imposti dalla tutela della dignità della persona umana, e questo è un richiamo che la corte costituzionale ci fa anche sulla sentenza della fecondazione assistita nel 2009, laddove dice che la discrezionalità del legislative li trova un limite e quindi una legge che violasse quel limite può essere dichiarata incostituzionale. Art. 13, la libertà personale è inviolabile e dunque nessuno mi può mettere le mani addosso se io non voglio. La circostanza che io non posso esprimere in quel momento la mia volontà, ma l’abbia dichiarato precedentemente, nulla toglie, anzi semmai aggrava la circostanza di essere sottoposto ad un trattamento che non voglio. La corte costituzionale ci dice che il consenso informato al trattamento medico non è solo una condizione di legittimità di quel trattamento, ma diventa un diritto fondamentale del soggetto e la corte dice testualmente: La sintesi tra due diritti fondamentali, il diritto alla salute e il diritto all’autodeterminazione. Ancora, la carta fondamentale dei diritti dell’unione europea, l’art. 3 che parla di consenso informato come condizione di legittimità e come diritto fondamentale. Ricordo che il consenso informato è l’autorizzazione al trattamento. Infine, concludo proprio citando questo titolo così efficace di questo congresso della Coscioni, gli argomenti degli “Azzeccagarbugli”, ma quali sono gli argomenti che dovrebbero ritenere non valido né efficace questo ragionamento basato su principi costituzionali? E qui la sentenza, la nota sentenza 21.748 sul caso di Eluana della Cassazione costituisce l’interlocutore necessario e per certi aspetti più autorevole. gli argomenti sono che il diritto alla vita e alla salute sono diritti indisponibili. L’altro argomento è che i trattamenti sanitari sono una cosa, i trattamenti salvavita o di sostegno vitale sono un’altra cosa. Infine, il testamento biologico è di fatto un’autorizzazione alla eutanasia. Che il diritto alla vita e alla salute non siano diritti indisponibili ormai, dalle trasfusioni di sangue a cui tutte le altre situazioni non potrà costringere il dializzato a farsi la dialisi, o la persona sottoposta a chemioterapia a farsi il ventesimo ciclo, se questa non voglia, da quei dati ormai acquisiti si evince che si tratta di affermazioni puramente ideologiche e non fondate nel nostro ordinamento. Trattamenti sanitari e trattamenti di sostegno vitale, anche qui è una distinzione che non esiste né in una legge né tanto meno nella carta fondamentale. Il trattamento di sostegno vitale nella situazione di emergenza, trovo la persona agonizzante per strada, la porto in ospedale, la portano in sala di rianimazione, è giustificata lì l’assenza di un consenso che nessuno può dare sul presupposto dell’urgenza e dell’emergenza, ma la stabilizzazione di quell’emergenza, che vorrebbe dire una sala di rianimazione, com’è stata per Eluana per 17 anni, è un’altra cosa, perché manca il presupposto che legittima l’assenza di quel consenso informato. Testamento biologico ed eutanasia: Anche se il dibattito sarebbe assolutamente meritevole, ma il nostro è un paese troppo arretrato per arrivare a quel livello di dibattito oggi, un conto è l’induzione o l’accelerazione di un processo che è quello del morire con farmaci, un conto è quello di rispettare l’autodeterminazione terapeutica che, e concludo per citare appunto la cassazione, prevede che il medico non ha un obbligo e né tanto meno ha un diritto di curare. Quella del medico è una facoltà, che presuppone la presenza di un consenso di colui che deve ricevere il trattamento medico. Inoltre, il malato non ha un dovere di curarsi, dice giustamente la cassazione, ma è una sua libera scelta, vi è il diritto assoluto alla libertà terapeutica e quindi il diritto assoluto alla terapia significa diritto a curarsi ma anche diritto a non curarsi, quindi diritto di scegliere. Il decreto legge Calabrò si fonda su principi che sono completamente diversi da questa strutturazione normativa che ho appena così sinteticamente riportato. Le dichiarazioni di trattamento diventano meri orientamenti di cui il medico può o non può tenere in considerazione, l’idratazione e la nutrizione sono trattamenti salvavita e come tali sono trattamenti obbligatori che, consentendo il diritto alla vita, non possono essere rifiutati dal soggetto che li dovrebbe ricevere; Il diritto alla vita e alla salute, è l’incipit di questo disegno di legge, sono diritti indisponibili e ciò contrariamente a tutto quello che abbiamo sin qui detto. Quindi gli strumenti ci sono, l’Associazione Coscioni come altre associazioni, ma in particolare questa, che mantiene questo impegno costante nel tempo, ha l’onore e l’onere di farli valere e farli rispettare. Grazie.