Grazie, ringrazio l’Associazione Luca Coscioni di avermi invitato. Confesso che ne ho approfittato ieri per seguire larghi squarci del dibattito, praticamente tutto e ho imparato molte cose che non sapevo e, come dicevo prima, non mi sono affatto annoiato. Veniamo al tema: analizzare i rapporti tra il corpo del diritto, quindi diciamo la legalità, e i corpi degli uomini e delle donne cui il diritto si rivolge, è ormai di centrale importanza nella riflessione giuridica contemporanea. Badate, non sempre è stato così, anche perché il diritto, com’è stato detto, ha per lungo tempo apparentemente escluso, e ancora apparentemente esclude, il corpo dal panorama delle sue discipline e riflessioni. L’idea, anche questo è stato visto e sottolineato dagli studiosi, l’idea della cosiddetta persona fisica che è un concetto cardine per il ragionamento giuridico, è stata così spesso utilizzata come una sorta di schermo proprio per non parlare dell’essere umano identificato dal suo corpo. Non a caso il termine persona deriva dal greco prosopom e dal latino personam, in cui la persona identificava la maschera del teatro, quindi si parla della maschera per non parlare di ciò che sta dietro la maschera. Così tutti i grandi codici ottocenteschi, civilistici, come ha sottolineato più volte Stefano Rodotà, pur aprendosi con una parte dedicata alla persona, ne ignoravano del tutto la fisicità, non la prendevamo in considerazione. In Italia solo con l’art. 5 del Codice Civile del 1942, che è stato citato anche ieri da Puiatti, elaborato dopo una discussa vicenda napoletana, oggi diremo tipica questione bioetica e di biodiritto, cioè un caso di trapianto di testicolo contro corrispettivo, che fece a lungo discutere nella prima metà del secolo scorso, a seguito di questa vicenda venne appunto elaborato l’art. 5 del Codice Civile. E questa è la prima vera irruzione del corpo sulla scena del diritto Italiano e ciò avvenne però nel modo più tradizionale: il corpo assunto come un luogo della proibizione. L’uso del corpo non gradito viene puramente e semplicemente proibito. Ecco, questo schermo, questa eclisse, se volete concettuale, ha finito per garantire ampi spazi di manovra del potere che nel “non detto” si è espresso e si è movimentato nel modo più comodo. Del resto, se voi ci pensate, la storia insegna che è molto più facile agire violentemente, anche sadicamente, sui corpi e sulle persone, se ci si dimentica di cosa effettivamente quei corpi siano e chi siano i soggetti che stanno in quei corpi. Anzi in questo pericoloso passaggio mentale che trovano origine, l’hanno studiato gli storici molto bene, i razzismi, gli stermini, le torture, trova legittimazione la violenza sui corpi di chi è segregato, ieri si citavano anche gli immigrati irregolari, o la violenza su chi è segregato in un carcere ed occasionalmente privato della libertà personale. Come peraltro sottolineato da molti, il ‘900 è stato il secolo che ha dovuto riscoprire il corpo e la persona, soprattutto il ‘900 inoltrato, e questo non poteva essere diversamente, sia perché le costituzioni del secondo dopoguerra nascono dopo le crudeli vicende belliche degli stermini e le vicende dei lager, in cui appunto si praticava, si distruggevano le persone agendo sui corpi, qui è inutile citare Primo Levi, ma anche perché, soprattutto nella seconda metà del ‘900, è stato velocissimo, complesso, il progresso della scienza e della medicina, con tutti i risvolti che questo ha comportato sul piano delle applicazioni sui corpi. Poi pensiamo ai movimenti dei diritti civili, che hanno posto al centro della loro riflessione, della loro azione, appunto il corpo: il femminismo, ma anche l’AIED che ieri era ospitata qui e anche il Partito Radicale, per quanto riguarda l’esperienza italiana. Oggi quindi, tra i diversi saperi, infatti citerò anche filosofi e scrittori in cui mi sono imbattuto casualmente, è ormai diffusa la consapevolezza, ma è stato un punto d’arrivo, che, come infatti scrive la filosofa Michela Marzano: “ogni azione che facciamo ed ogni relazione che instauriamo mettono in gioco la nostra corporeità”. Esiste cioè – come sottolinea il giurista Paolo Zatti – un’evidente corporeità dei diritti della persona, ovvero, come ha precisato il premio nobel scrittore nigeriano Soyinka: il corpo costituisce il territorio dei diritti. Insomma appare ormai chiaro che è attraverso il nostro corpo esercitiamo o che scegliamo di non escercitare i nostri diritti ed è chiaro che incidendo sui corpi si comprimono quindi questi nostri diritti. Ampliando i diritti, qualsiasi diritto, anche quelli più lontani dalla fisicità, si ampliano invece le possibilità concesse ai corpi. Ricordo un esempio perché è stato citato anche ieri, l’articolo del codice penale che vietava la diffusione, la propaganda dei metodi contraccettivi, è stato eliminato dal nostro ordinamento a seguito di un intervento della Corte Costituzionale che poggiava non sull’art. 13 o sull’art. 32, ma poggiava sull’art. 21, quindi sulla libertà di manifestazione del pensiero e del resto la libertà di ricerca è una particolare espressione della libertà di manifestazione del pensiero.

Aveva insomma perfettamente ragione Simon De Beauvoir quando scriveva che la presenza del mondo, e questo è un dato che il diritto deve tenere in considerazione, implica il porsi di un corpo, un corpo, che sia contemporaneamente una cosa del mondo e un punto di vista sul mondo. Ma  è proprio per questo che il corpo costituisce la prima sede in cui il potere tende in vario modo ad espandersi. Pensate alla lotta costante tra potere religioso e potere temporale per il controllo dei corpi. Il corpo dunque è da sempre un tipico problema di diritto costituzionale, o meglio è diventato un tipico problema del diritto costituzionale, perché costituisce il decisivo momento di incrocio, il punto di confine e di contatto, tra le libertà della persona e il potere. Ed è proprio per tutelare le libertà e per regolare, porre argini, limitare il potere, che le costituzioni moderne sono state progressivamente elaborate. Il corpo poi costituisce, questa è una definizione che mi è sempre piaciuta, il prototipo di ogni minoranza e la tutela di ogni minoranza costituisce un’altra tipica preoccupazione delle costituzioni veramente democratiche. Per citare Claudio Magris, che mi sembra perfetto quanto lui ha detto: “sono perciò i cosiddetti valori freddi, ovvero le formali garanzie giuridiche previste in Costituzione nella legge e nelle regole, a permettere o a non consentire agli uomini in carne e ossa di coltivare personalmente i propri valori caldi, ovvero i sentimenti e le passioni, ma – aggiunge Magris – per consentire ciò le regole giuridiche devono muovere dal presupposto che esistono tanti cuori, ognuno con i suoi insondabili misteri e le sue appassionate tenebre”. E qui lo scrittore evoca, non so fino a che punto consapevolmente, “un tipico principio che caratterizza le costituzioni democratiche, cioè il principio pluralista”. Il tema dei rapporti tra il diritto e i corpi va dunque affrontato in questa direzione, ragionando dei valori freddi disponibili in un ordinamento e dettati, per quanto ci riguarda, in primo luogo, ma non soltanto, nella Costituzione. Questo approfondimento porterà più chiaramente alla luce, almeno a questo tendo, un particolare punto di vista che è insito nella nostra Costituzione, un punto di vista che trasversalmente la permea e di rimando dovrebbe quindi plasmare l’attività politico-legislativa e l’attività costituzionale, visto che la Costituzione è la fonte di grado gerarchicamente più elevato presente nel nostro ordinamento. Una chiave di lettura su questo punto, lo sottolineo, non semplicemente riferibile alla distinzione, almeno io così credo, tra prese di posizione liberali e il loro contrario, tanto è vero che esistono liberali e liberisti estremi che non sempre la adottano. Penso ad esempio al caso statunitense, ma che affonda in una precisa concezione della Costituzione del diritto sulle modalità con le quali vanno utilizzate le costituzioni del diritto. Citando alcuni esempi che hanno visto come protagonista anche l’Associazione Luca Coscioni e Filomena Gallo in prima persona, a questo punto di vista si contrappone spesso, e non solo in Italia, una ben diversa prospettiva di utilizzo del diritto, benché come vedremo si possano più facilmente definire illegittimi i prodotti di questa attività, di questo approccio alternativo. Per sintetizzare l’essenza di questi orientamenti contrapposti, userò le formule che forse sono semplicistiche ma rendono bene l’idea, che rinviano a un approccio dal basso e dall’alto. Dal basso è un’impostazione sempre attenta alla concreta, complicata sfaccettatura del reale e dei problemi ai quali occorre offrire puntualmente risposta, risposta legislativa, risposta giurisprudenziale. Una prospettiva che pone al centro una visione concreta della persona ed è il principio personalista del pieno sviluppo della persona sancito in Costituzione sin dai suoi primi articoli. Una prospettiva che dà risalto ai contesti e ai fatti, che non sono sempre uguali. E’ una prospettiva che favorisce altresì soluzioni flessibili, in grado di plasmarsi sulla fisionomia dei casi e che mette in conto l’uso anche non scontato da parte dei singoli dei diritti riconosciuti in Costituzione, che poi è la conseguenza derivante dal riconoscimento di ogni vera libertà, che declina quindi anche in modo più inclusivo il principio pluralista e che nel caso di contrasto tra diritti, nelle varie fattispecie, nelle varie situazioni concrete, punta ad un ponderato, ragionevole bilanciamento tra gli interessi che sono coinvolti nella circostanza. Dall’altro, esattamente l’approccio contrario: un atteggiamento in cui prevale un’idea astratta e spesso preconfezionata della persona e dei suoi interessi, e che si riscontra allorché ideologiche politiche, religiose, morali o anche semplici punti di vista, utilizzando le leve del diritto, vengono fatte precipitare su tutto e su tutti, non ammettendo eccezioni anche ragionevoli. Quindi anche senza troppo badare alle situazioni concrete e alle conseguenze che questa prospettiva provoca. Una logica che induce talvolta a declinare il personalismo contro le stesse volontà, pur costituzionalmente compatili dell’interessato, ed insterilire così lo stesso principio pluralista. Accogliere l’una o l’altra strada non è indifferente, credo, per il laico e la spiegazione di ciò l’ho trovata in un poeta recentemente scomparso, Roversi, un poeta delle mie terre, che scrisse una prosa poetica intitolata “il laico pensiero”. Dice Roversi: “Il pensiero laico è quello che pensa, che crede che le cose parlano sorgendo dalla terra, non precipitando paurose, ammonenti, dall’alto dei cieli”. Usa le stesse espressioni che avevo utilizzato io. E non è un caso che la bioetica del Cardinal Martini, che è bene ricordare in questa sua Milano, sia stata criticata all’interno del mondo cattolico perché troppo vicina alle situazioni concrete delle persone, di contro la bioetica ufficiale della Chiesa che deve invece essere – così è stato detto, chissà mai perché – fredda, dura, severa e tagliente. Questo è stato sottolineato da Vito Mancuso, criticando una presa di posizione di Francesco D’Agostino. Ebbene, dicevo, esistono precisi segnali politici che legittimano il riconoscimento nella nostra Costituzione di un approccio rigorosamente dal basso. Ce ne sono talmente tanti che non li posso ricordare, non mi posso ricordare tutti, ma la centralità in Costituzione della persona concreta, che emerge sin dai primissimi, E non a caso, sin dai primissimi articoli della Costituzione, e in ciò si realizza un vero e proprio ribaltamento rispetto all’ordinamento giuridico precedente. Non è un caso che a latere dei lavori dell’assemblea costituente, per rendere con un’immagine questo ribaltamento, Aldo Moro parlò di una piramide rovesciata rispetto all’esperienza precedente. Si scolpisce in Costituzione, per sintesi, la funzionalizzazione dello Stato, la tutela dei diritti dei singoli e non viceversa, come accadeva ad esempio durante il fascismo. Così i diritti sono ora garantiti al singolo indipendentemente dai vantaggi o dagli svantaggi che possono derivare allo Stato o qualunque altra agenzia di potere. C’è un corposo filone della giurisprudenza costituzionale che si colloca su questa linea, ma cito un brano della sentenza sul caso Englaro, perché è particolarmente chiara da questo punto di vista. Cosa si afferma nella sentenza della Cassazione civile del 2007, che sussiste nel nostro ordinamento, alla luce delle norme costituzionali, il divieto di strumentalizzare la persona per alcun fine eteronomo e assorbente, che è sostanzialmente quanto ho cercato di sintetizzare fin qui. Ma poi esistono altri segnali strutturali, in luoghi anche impensati. Che cos’è il referendum abrogativo? Credo che a questo pubblico non ci sia bisogno di spiegare che cosa sia il referendum abrogativo di iniziativa popolare se non un istituto previsto proprio per il suo sorgere dal basso e che sorgendo dal basso può arrivare ad abrogare anche ciò che è stato deciso dall’alto, oppure pensate al carattere diffuso del potere giudiziario, che è stato appunto utilizzato in molti dei casi analizzati ieri. Quindi, collocare i singoli organi di potere del potere giudiziario nel luogo più vicino ai fatti, è un modo per iniziare un percorso che risalendo la corrente può arrivare fino alla Corte Costituzionale o alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, per poi ritornare alla base, con una decisione magari vincolante erga omnes, per tutti. Una chiara applicazione di queste idee si trova in un istituto che i giuristi definiscono “delle deleghe di bilanciamento in concreto”, deleghe operate dal legislatore o decise dalla Corte Costituzionale nelle sue pronunce. Non è un caso che questo istituto si colga in tutto quel filone giurisprudenziale della Corte Costituzionale che ha sancito il principio del consenso informato, il divieto per il legislatore di imporre particolari terapie senza tener conto delle situazioni concrete, oppure anche nella sentenza 151 del 2009, sulla quale poi tornerò brevemente, che ha dichiarato illegittimi parti essenziali della legge 40 sulla procreazione assistita, che cosa accade in queste circostanze, quando il legislatore o il giudice costituzionale conia una delega di bilanciamento in concreto? In questi casi non si delinea un’astratta, rigida e tagliente regola di prevalenza, bensì una più flessibile regola di competenza, atta a definire i soggetti, i criteri, le sedi, nelle quali andranno risolti i casi in discussione, con l’immancabile coinvolgimento dell’interessato. E’ una tappa di quella personalizzazione che anche ieri è stata invocata molte volte. Sono numerosi gli esempi che si possono trarre di questo braccio di ferro, di questo contrasto costante nel nostro ordinamento. Ne cito alcuni molto brevemente, pensate ad una legge che non è stata ancora citata e quindi è bene anche integrare il dibattito, la legge 164 dell’82 sul transessualismo, sulla rettificazione di sesso. Approvata la legge che la consentiva, secondo una determinata procedura, sono stati subito sollevati dei dubbi sulla sua legittimità, sollevati da medici, da giuristi, da giudici, e anche da medici legali, che chiaramente muovevano da una prospettiva dall’alto. Era così frequente, nel tenore delle argomentazioni, ragionare della natura violata, dello scempio dei corpi provocato dall’intervento chirurgico. Si invocava la necessità di tutelare la persona, e il suo corpo, anche contro le intime convinzioni e le condizioni vissute dal diretto interessato. La Corte Costituzionale replica con una sentenza dell’85 utilizzando invece l’art. 32 della Costituzione e dimostrando che l’art. 5 del Codice Civile non può più essere impiegato e interpretato come lo si faceva prima dell’entrata in vigore della Costituzione. Quindi cosa afferma? Che sono ora ammissibili gli atti di disposizione del proprio corpo, che pur determinando diminuzioni permanenti dell’integrità fisica, siano tuttavia finalizzati a tutelare la salute e a garantire la realizzazione di sé, del diretto interessato. Quindi, al centro di questi ragionamenti, è posta la persona concreta nella situazione fattuale, circostanziata in cui si trova ad operare. Ma pensate anche all’aborto, anche i contrastI inerentI l’aborto si possono leggere in queste prospettive. Dall’alto è sicuramente l’approccio che non dà rilievo al fatto evidentemente complesso della gravidanza, così puntando com’è stato teorizzato ad una protezione del valore indipendente della vita. Non si tiene in nessun conto il fatto che nel caso del concreto, la vita dell’embrione e del feto non è per nulla indipendente. La presenza del feto viene così concettualmente estratta, viene dire, dal corpo materno, e in ciò sta l’evidente astrazione di un simile punto di vista. Dal basso invece l’approccio esattamente contrario, quello che propone una mappatura della concreta trama di tutti gli interessi costituzionali propri ai diversi soggetti protagonisti della vicenda, individuando quello che deve necessariamente prevalere e il momento fino al quale deve prevalere. Questo fatto complesso della gravidanza e della sua interruzione è valorizzato dalla Corte Costituzionale in una serie di pronunce, dalla sentenza 27 del ‘75, che ha fatto da apripista poi alla legge 194 del ‘78, e anche in altre pronunce, quella corte non a caso ragiona della particolarissima, cito, “condizione della gravidanza”, oppure “la del tutto particolare condizione della gestante” e emerge anche da un filone della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, in cui si trova scritto che “il diritto alla vita del feto, se esiste, è implicitamente limitato dai diritti e dagli interessi della madre”, oppure ancora “la vita del feto è intimamente connessa e non può essere giuridicamente isolata – quel processo di estrazione ed astrazione che dicevo prima – dalla vita della donna in gravidanza”. Ancora concretezza, quindi, contro astrattezze ideologiche. Sono tuttavia numerosi i tentativi di boicottare la legge, o meglio di sabotarla, tentativi che muovono rigorosamente da una prospettiva dall’alto e che qui non posso ricordare. Ieri è stato ricordato l’esempio della Lombardia, ho calcolato che sono almeno sei le violazioni di legge nei comportamenti indicati e illustrati ieri da Filomena Gallo, ma ce ne sono altri giudici tutelari che periodicamente tentano di far entrare il principio del loro diritto all’obiezione di coscienza, anche di recente, tentativo immancabilmente stoppato dalla Corte Costituzionale, o il tentativo di amplificare il ruolo del padre del concepito, dei genitori della minore, magari contro chi possiede il corpo direttamente coinvolto nella vicenda che magari è in condizioni di decidere. Anche questa è un’iniziativa stoppata di recente, oppure trasformare la ratio del colloquio, trasformandola appunto in un effetto evidentemente dissuasivo, oppure l’uso dell’obiezione di coscienza, non è il caso di soffermarmi, che intacca anche l’uso della contraccezione d’emergenza, la pillola del giorno dopo, la RU486, o la pillola dei cinque giorni dopo. Di contro, penso che affrontare il problema dell’aborto clandestino dal basso, cioè come una situazione concreta e problematica, portandola ad emersione e avvicinando le donne in difficoltà ai sensi della legge 194, ha consentito di ridurre il danno e il ricorso effettivo all’aborto, come testimoniano i dati, laddove invece sicuramente il proibizionismo ideologico e dall’alto non salvava e non salverebbe di certo più vite. Lo stesso vale per il fine vita. Ai sensi dell’art. 32 comma 2, lo ricordava anche ieri Santusuosso, se il paziente è capace e consapevole ha il diritto non solo a modulare le scelte e i trattamenti a cui intende sottoporsi, ma anche a rifiutare le cure sino al provocare la propria morte. A questo conduce, del resto, la teorizzazione, ma anche la sua pratica affermazione della giurisprudenza del diritto costituzionale, del diritto alla salute come diritto di libertà individuale, del consenso informato quale, cito dalla corte “vero e proprio diritto della persona, sintesi di due diritti fondamentali – e quindi diritto fondamentale anch’esso – quello all’autodeterminazione e quello alla salute” ed è chiaro che, se a seguito dell’informazione il consenso può essere dato, a seguito dell’informazione il consenso può essere negato, altrimenti non ci sarebbe un consenso, non di consenso si tratterebbe ma soltanto di un’imposazione informata. Anche questo approdo è frutto di un ribaltamento conseguente a norme esistenti in Costituzione, la volontà del medico esterna al soggetto, un tempo sempre privilegiata dal paternalismo medico, oppure la volontà dello stato, la volontà di una confessione religiosa e così via, prevale e deve prevalere ora la volontà informata del paziente capace e debitamente informato e consultato sulle vicende che direttamente lo riguardano e ineriscono al suo corpo.

Insomma, come sta scritto nella sentenza che chiude il caso Welby, ai sensi dell’art. 32 della Costituzione, ecco un’altra trasformazione di norme previgenti a seguito dell’entrata in vigore della Costituzione, il medico che assista il paziente in queste sue volontà non dà luogo né a un omicidio del consenziente, né ad un aiuto al suicidio, che sono reati penalmente perseguiti. La volontà del peziente priva dunque di doverosità i comportamenti del medico tesi a prolungargli la vita. Un’altra trasformazione di norme previgenti a seguito dell’entrata in vigore delle norme gerarchicamente più elevate contenute in Costituzione. E nel caso Englaro abbiamo ancora un passo in avanti, perché la fattispecie del caso Englaro era diversa da quella del caso Welby, e ancora i giudici, applicando norme costituzionali e interpretando le norme alla luce delle norme costituzionali, vanno un passo avanti. La necessità quindi, sintetizzo, di avere elementi di prova chiari, univoci e convincenti della volontà diretta del paziente, ovvero della volontà ricavata dalla sua personalità e dal suo stile di vita, dai suoi convincimenti etc. La Corte d’appello di Milano nel caso specifico ha verificato sia l’esistenza di elementi di prova diretti, sia l’esistenza di elementi di prova indiretti e la reazione dall’alto anche qui non si è fatta attendere. Ieri sono stati ricordati alcuni episodi, ma gli episodi sono gravissimi e numerosissimi. Pensate soltanto alla vicenda del decreto legge che si stava approvando al di fuori di quanto previsto dall’art. 77 della Costituzione per porre nel nulla una cosa giudicata, cioè una decisione arrivata allo stato di pronuncia definitiva. Oppure pensate al conflitto di attribuzioni tra poteri dello stato, dichiarato inammissibile dalla Corte Costituzionale, con il quale il parlamento affermava che il potere giudiziario nel caso avrebbe usurpato competenze del parlamento stesso. Oppure pensate alla lettera del ministro del lavoro, salute e politiche sociali, autoqualificatasi atto di indirizzo, con la quale si intimava ai presidenti delle regioni e delle province autonome di agire affinché nessuna struttura pubblica e privata ospitasse la ragazza e quindi attuasse la decisione giurisprudenziale. Anche qui una non meglio specificata “lettera del ministro” che vuole bloccare una cosa giudicata, oppure anche il ricorso alla cedum, è stato ricordato ieri e non ritorno. Oppure ancora il ministro che paventa conseguenze immaginabili, cito qualora qualcuno avesse violato i suoi diktat, oppure quanto si è realizzato nella regione Lombardia. La direzione generale della sanità che risponde sostanzialmente al tutore della ragazza che non avrebbe mai attuato una decisione arrivata allo stato di pronuncia definitiva, e qui le parole del tar che annullano quella presa di posizione, quell’atto, sono chiarissime. Cito solo una riga: “l’accettazione presso la struttura sanitaria pubblica non può essere condizionata alla rinuncia del malato ad esercitare un suo diritto fondamentale” e poi pensate al disegno di legge Calabrò citato anche ieri dal senatore Del Pennino, che è un diretto effetto della vicenda e al quale è stata non a caso impressa un’accelerazione nelle ultime settimane. Evidentemente le elezioni si avvicinano. Ed è un disegno di legge che mira ideologicamente dall’alto a ridurre drasticamente, anzi ad annullare gli spazi di decisione del singolo in tema di fine vita e ciò a prescindere dalle sue volontà, comunque supportabili dalla Costituzione. Da ultimo pensate ancora alla legge 40, brevemente, che è una summa di tutte queste decisioni assunte da una prospettiva ideologica e dall’alto. No assoluto alla ricerca, anche se in realtà uno spiraglio si è trovato, sia pure un flebile spiraglio, utilizzando linee staminali importate, anche sugli embrioni sovrannumerari ormai biologicamente impossibilitati ad attecchire in utero e svilupparsi, che è un durissimo attacco alla libertà di ricerca scientifica, perché non si pongono limiti ragionevoli, bilanciati, ponderati, ma si vieta tutto. E’ la stessa logica, una logica rigorosamente antiscientifica e dettata da altre ragioni, per cui sono state vietate in Europa, per oltre un secolo e mezzo, le trasfusioni di sangue, come ha ricordato in un articolo apparso qualche giorno fa Giuseppe Remuzzi sul Corriere della Sera. Qui si aggiungono altri problemi derivati dalla sentenza Brusla, che sono stati ricordati ieri: il divieto di brevettare i frutti delle ricerche sulle cellule staminali, per questo è molto importante che il Parlamento Europeo finanzi queste ricerche, perché il divieto di brevettabilità quasi automaticamente bloccherà i fondi su queste ricerche e quindi gli unici fondi disponibili saranno quelli appunto provenienti dal pubblico. Pensate al divieto di fecondazione eterologa. Che cosa c’è nel divieto di fecondazione eterologa? Al di là di tutto, c’è in realtà un ordine familiare che si ritiene doveroso procedere, al di là della legittimità di altre forme familiari, di altre organizzazioni familiari. Il divieto, sembrava, della diagnosi preimpianto, il divieto di produrre più di tre embrioni ed anzi il dovere di imporli, inocularli contemporaneamente e anche qui gradatamente la giurisprudenza, sia la giurisprudenza ordinaria, sia la giurisprudenza costituzionale, sia la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, in alcuni casi ancora utilizzando le norme costituzionali, mettendo in moto le norme costituzionali, hanno superato molti di questi divieti, demolendo la legge pezzo per pezzo, almeno molti pezzi di questa legge. Fino ad arrivare, non cito tutti i passaggi che sono stati già menzionati, alla sentenza 151 del 2009 della Corte Costituzionale che è una sentenza importantissima, perché sancisce l’illegittimità dell’obbligo dell’unico e contemporaneo impianto del massimo di tre embrioni fecondati, e sul divieto conseguente di crioconservazione. Perché è importante? Perché quella pratica, dice la Corte, è una scelta che non teneva conto, ponendosi in una prospettiva dall’alto, dalle diverse patologiche riproduttive di cui poteva essere affetta una dona o una coppia, alle stesse caratteristiche fisiologiche del paziente, quindi alla necessità di calibrare le soluzioni caso per caso, situazione per situazione, patologia per patologia. Ancora, come capite, l’individualità del trattamento di cui parlava D’Elia ieri. Ancora, per usare un criterio che dicevo prima, una delega di bilanciamento in concreto. Pensate, fate un esercizio, un esperimento mentale, pensate a queste prospettive, come queste diverse prospettive possano applicarsi in molti casi, in molte esperienze citate ieri. Ad esempio relativamente al consumo delle sostanze stupefacenti, ad esempio relativamente al matrimonio omosessuale, al caso dell’eutanasia, alla sperimentazione animale, alla situazione dei disabili, all’attuazione dell’art. 27 della Costituzione sulla funzione rieducativa della pena, in cui è chiaro l’intento di agire caso per caso, situazione criminale per situazione criminale.

Chiudo: quale filo rosso quindi congiunge il percorso che ho sin qui delineato? Direi che la nostra Costituzione, e uso le parole della filosofa De Monticelli, che la nostra Costituzione ci insegna a distinguere l’ethos individuale da ciascuno perseguito in funzione della propria fioritura, e l’etica, ossia quello che è dovuto da ciascuno a tutti, che è poi lo stesso diritto che si chiede per sé di vivere, fiorire, affrontare la morte o altre situazioni, secondo le proprie più radicate convinzioni. Se volete queste parole riecheggiano John Stweart Mill e sintetizzano e esprimono in parole molto più poetiche ed efficaci la sostanza del principio pluralista che prima evocavo. Se questa è la logica, è necessaria l’adozione di un modello permissivo e non impositivo, un modello perseguibile attraverso leggi facoltizzanti. E’ chiaro – e chiudo davvero – che tra l’optare tra un simile atteggiamento personalista e pluralista dal basso e il suo contrario, un’offesa all’altro modo di pensare pur sempre c’è. Tuttavia, come è stato ben detto da una collega, e uso le sue parole, “è assolutamente diversa l’offesa che subisce chi vive in un ordinamento, che fa suoi i principi che egli non condivide ma senza conseguenze dirette sul suo corpo, e sui suoi convincimenti più intimi, dall’offesa che subisce chi vive in un ordinamento che fa suoi i valori che egli non condivide e da ciò fa discendere le conseguenze dirette sul suo corpo e sulle sue scelte più profonde”. Ecco, tra queste alternative, se è vero ciò che vi ho detto, la nostra Costituzione, per chi la vuol prendere sul serio e intende applicarla, ovviamente, un’opzione precisa l’ha adottata e non è affatto muta, o peggio matrigna, come qualcuno vorrebbe farci credere.