Mi scuso sin da subito perché non parteciperò al prosieguo di questo nostro congresso, perchè si apre una settimana di fuoco che ci vedrà impegnati fuori dal nostro Paese e per me domani sarà una giornata cruciale per preparare la missione in Africa.

Sull’auspicio di Piergiorgio Strata, un compagno iscritto come me all’Associazione Coscioni, dico subito che io voterei contro una mozione che indirizzasse in maniera molto netta l’Associazione Coscioni nella direzione che lui vorrebbe, per ragioni che forse si evinceranno da quello che dirò, anche se non userò mai nel mio intervento la frase “sperimentazione animale”. Già l’intervento di Elisabetta Zamparutti stamattina poneva alcune questioni che credo debbano essere patrimonio del nostro dialogo interno, perché è un dialogo che ci arricchisce individualmente e credo arricchisca anche il soggetto politico nel suo complesso.

Io partirei – lo hanno fatto un po’ tutti – dalla frase “dal corpo dei malati al cuore della politica”… Non è solo uno slogan che sintetizza un metodo e un programma di azione politica: per me, nella mia personalissima lettura della frase, c’è anche una “chiave” – di lettura, appunto – che mi propone (ci propone? ci dovrebbe proporre? non lo so!) una concezione diversa della scienza, della ricerca, quindi anche della malattia e della cura… in una parola della vita.

Se noi partiamo “dal corpo del malato”, se per noi esiste innanzitutto il malato, non possiamo poi concentrarci, mettere al centro la malattia, rinchiudere il malato nel campo di concentramento della malattia (con l’ospedale come luogo deputato), come l’anomalia da cancellare, il nemico o l’intruso contro cui scatenare una guerra di annientamento. A me fanno sempre paura tutti i sistemi concentrazionari, perché vanno a scapito della libertà, dell’ individualità, della singolarità di ogni persona.

Se esiste il malato e non la malattia, o meglio il malato con la sua personalissima “malattia”, la quale è, non un anomalia da eliminare, ma – per dirla con le parole di Mariateresa Di Lascia nel suo romanzo “Passaggio in Ombra” – “il capolavoro di un’intera esistenza” e il disvelamento a volte del “segreto più intimo di una vita”, allora trovo un po’ assurda e pericolosa la pretesa e l’illusione della scienza e della ricerca medica di ridurre a unità di trattamento (medico, ospedaliero, farmacologico) tutti i malati della stessa malattia, con ciò negando il prodigio delle singolarissime vibrazioni (variazioni del DNA, potremmo dire) che costituiscono l’identità unica e irripetibile di ogni vita e di ogni essere umano. Sempre Mariateresa: “Nello spartito della vita, risuoniamo tutti con un’unica nota le cui vibrazioni mutano impercettibilmente per la materia che ci accade di essere”.

Quindi – così io traduco il pensiero letterario, poetico di Mariateresa Di Lascia, ma a partire dal mio vissuto e dalla mia esperienza, perché l’esperienza è sempre un fatto interiore – la singolarissima complessione fisica che a ognuno di noi accade di avere e che fa di ognuno di noi un essere unico e irripetibile, mal si concilia con una logica, con un modello, scientifico da un lato e poi trattamentale, medico, farmacologico dall’altro, che invece si fonda sulla standardizzazione e sul trattamento di massa di intere popolazioni.

Noi affermiamo sempre che esiste un primato della persona, la sovranità dell’individuo su sé stesso, contro il primato dello Stato, la sovranità assoluta dello Stato sui propri cittadini… per cui preferiamo dire “diritti della persona” invece di dire genericamente “diritti umani”.

Quindi, anche, il concetto di “individualità del trattamento” è un concetto fondamentale, che è acquisito in altri sistemi, in altri ambiti. Ad esempio, è un principio affermato, anche se scarsamente applicato, nel sistema penale per cui è scritto “la responsabilità penale è personale” e poi nel sistema penitenziario in cui si parla di “individualità del trattamento carcerario”.

Invece, in campo medico, delle scienze mediche in generale e, in particolare, nel trattamento sanitario – medico, farmacologico, ospedaliero – sul “trattamento individuale” prevale il trattamento standardizzato e di massa, per cui assistiamo ad esempio alle grandi campagne di vaccinazione obbligatoria di massa, alla ospedalizzazione di massa invece che all’assistenza a domicilio, alle cure, ai servizi sanitari prestati al singolo individuo a domicilio, con enormi costi anche e non so quanti benefici. Perché, se il carcere accade che sia non luogo di riabilitazione ma la prima università del delitto, l’ospedale spesso accade che sia non un luogo di cura ma l’alta scuola di formazione della malattia.

C’è un abisso di differenza, di mentalità, di dolcezza, di libertà tra una concezione – che è della vita, poi – per la quale esiste il malato, la persona da curare dalla sua personalissima “malattia”, e una concezione dominante, manichea, del bene e del male che si fronteggiano nella vita e per la vita, in una lotta violenta, di annientamento, di soppressione del diverso, del nemico, dell’intruso.

Se noi ci poniamo nei confronti della malattia come nei confronti di un nemico da distruggere, io credo che quella malattia non la vinceremo mai. Bisogna invece far leva su processi che sono intimi, più individuali, immateriali probabilmente. Marco Pannella spesso ci ricorda il vuoto non esiste se non ai nostro occhi e che l’energia è immateriale. Invece noi abbiamo una concezione materialista e meccanicista per la quale, se non c’è il contenuto ponderale, se non c’è appunto il meccanismo di azione – perché il meccanicismo è questo, si studiano i meccanismi d’azione –, allora non è “scientifico”, e non funziona. Io invece credo che, se l’energia è immateriale, bisogna parlare piuttosto di forza vitale, di spirito vitale, ma qui poi arriva l’accusa dello spiritualismo etc…

Io ho il terrore di queste impostazioni. E’ la solita logica dell’emergenza che alimenta e si alimenta degli apparati della sicurezza e dell’ordine pubblico… tutti pronti all’opera, e sempre a fin di bene.

Noi abbiamo denunciato e lottiamo contro il complesso militare-industriale, molti di noi, non tutti noi certamente, sono contro il complesso economico-industriale. E il complesso farmaceutico-industriale, non lo mettiamo in discussione? Io credo che ci sia un nesso proprio tra il complesso farmaceutico-industriale e poi quello che accade nella società post industriale del consumismo di massa, nella quale piuttosto che produrre per soddisfare bisogni e offrire servizi reali, si producono nuove domande di beni e di servizi. Accade lo stesso per il consumo di farmaci. Quanti farmaci vengono sperimentati perché costituiscono la possibilità di indurre una domanda del farmaco che non risponde ad un’esigenza reale di cura rispetto a una malattia? Io ho il terrore di questo e ritengo che ci voglia un rientro dolce da un sistema economico in cui predominano gli aspetti fisici, materiali, con tutto quello che ne consegue in termini di distruzione di risorse naturali e ambientali e di non riuscire a smaltire le scorie del processo industriale.

Questa necessità credo valga anche per la scienza medica e la produzione farmaceutica. Ci vorrebbe una sorta di “rientro dolce”, che è anche il nome di un’associazione radicale di cui faccio parte, una fuoriuscita anche da questa logica consumista. Perché se c’è un eccesso di produzione di beni di consumo di massa, c’è anche un eccesso di produzione di domanda indotta e quindi di consumo di farmaci, e da questo eccesso che ci ha reso letteralmente dei tossicodipendenti, cioè dei consumatori compulsivi di farmaci, bisogna rientrare – come dal numero della popolazione mondiale –, a favore, invece, di uno sviluppo dolce, sostenibile, in una dimensione più qualitativa, più individualizzata, immateriale della cura e dei servizi terapeutici.

Ci sono dei modelli alternativi anche nella ricerca scientifica ed è proprio della missione dell’Associazione Coscioni fare ricerca scientifica anche su modelli alternativi a quelli meccanicisti, materialisti, quantitativi, consumistici di massa. Tu, Piergiorgio [Strata], in maniera un po’ liquidatoria dici: “Certo, ci sono dei modelli alternativi… O li stiamo perseguendo, li stiamo praticando, pure quelli alternativi, perché altrimenti che cosa sono i modelli alternativi?”, e poi fai riferimento all’astrologia, alla chiromanzia, a differenza della riunione della volta scorsa, a cui ho partecipato, del Consiglio Generale dell’Associazione Coscioni, in cui avevi messo dentro anche l’omeopatia, secondo te, “la medicina del nulla, l’effetto placebo”.

Se noi siamo per la libertà di ricerca scientifica lo dobbiamo essere a tutto tondo, anche nei confronti di quelle scienze, concezioni e pratiche che vanno sotto il nome di “vitalismo” e che non sono invece quelle dominanti, anche nelle nostre università. Non ci sono corsi di medicina vitalista nell’università, dove tutto invece è meccanicismo, tutto è materialismo.

Marco Cappato dice: “Va bene, la libertà di ricerca scientifica è la missione dell’Associazione Coscioni, che noi perseguiamo a tutto tondo, purché ci siano i fatti, le evidenze scientifiche, che non possono essere manipolate, né contestate”. Il problema, Marco, è il seguente: con quali paradigmi, con quali modelli, con quali protocolli noi cerchiamo e fissiamo le evidenze? Se il paradigma di ricerca e di prova è quello determinista, meccanicista e materialista, che è perfetto per studiare i fenomeni del mondo inorganico, questo modello credo abbia qualche difficoltà a capire, a studiare, i fenomeni della vita, che sono più complessi. La vita ha una sua autonomia che non può essere irreggimentata. I processi vitali sono più creativi, sono più misteriosi. È il mistero della vita in cui siamo immersi che non può essere ridotto e studiato con canoni che sono quelli in cui invece molti di voi scienziati siete immersi, che sono quelli di una concezione meccanicista e materialista della scienza.