Quel gran business dell’eterologa

Le Regioni hanno cominciato a pubblicare bandi internazionali per acquistare all’estero gli ovociti. Si calcola che saranno almeno 10 milioni di euro che il sistema sanitario italiano consegnerà alle cliniche straniere

Grazie, Italia. Ce lo dicono strutture sanitarie di mezza Europa che fanno business sulle coppie italiane che si rivolgono alla fecondazione assistita. Addirittura le Regioni hanno incominciato a pubblicare bandi internazionali per acquistare all’estero gli ovociti. L’Emilia-Romagna, per esempio, ha messo sul piatto 750 mila euro. «Ci aspettiamo un prezzo unitario- dice Licia Petropulacos, dell’assessorato regionale alla Sanità- di 2.000-2.500 euro».

Sarà così possibile rispondere anche alle 287 coppie in lista d’attesa all’ospedale Sant’Orsola di Bologna. La primogenitura va al Friuli-Venezia Giulia che ha emesso un bando per 400 mila euro prevedendo un approvvigionamento per 12 mesi. Poi sarà ripetuto. Anche la Toscana ha optato per un bando che ha già i vincitori: due cliniche spagnole e due danesi.

Alla fine, poiché è prevedibile che tutte le Regioni seguiranno questa strada, saranno 10 milioni di euro che ogni anno il sistema sanitario consegnerà alle cliniche straniere. Si calcola che siano 10 mila le donne italiane che ogni anno si sottopongono alla fecondazione assistita. L’infertilità riguarda il 15% delle persone in età procreativa, con un trend in aumento.

«Il grosso problema in Italia – dice Filippo Maria Ubaldi, direttore clinico dei Centri Genera di Roma, Napoli e Marostica- è che, per quanto ora abbiamo una legge che permette l’eterologa e siano molte le donne che la cercano, poche sono quelle disposte a donare i propri gameti e questo soprattutto perché nel nostro paese non esiste un sistema di rimborso economico per le donne che decidono di donare i propri ovuli, come invece avviene nel resto d’Europa. La donazione di ovociti prevede una stimolazione ormonale della durata di un paio di settimane, con monitoraggi ecografici e ormonali e un piccolo intervento chirurgico con blanda sedazione per prelevare gli ovociti. Tutto questo comporta, quanto meno, perdita di ore di lavoro e impegno per la donatrice che andrebbero riconosciuti economicamente».

Un fiume di denaro che varca i confini, un salasso per la spesa sanitaria pubblica e quindi per i contribuenti. Con queste falle come fanno a stare in piedi i conti dello Stato?

Ancora una volta facciamo le spese di un approccio non laico e scientifico ma politico e religioso su faccende che riguardano la sfera privata e l’approccio alla maternità, con la conseguenza che dal parlamento escono leggi compromissorie che dicono e non dicono, danno un colpo al cerchio e uno alla botte e finiscono per creare caos invece di regolamentare, così deve intervenire il giudice.

La corte costituzionale nel 2014 ha fatto cadere il divieto dell’eterologa stabilendo però che le cellule riproduttive debbono essere donate a titolo gratuito.

A questo punto si inserisce un’Europa che è comunitaria ma dove ogni Paese fa ciò che vuole. E in molte nazioni è possibile conferire gli ovociti dietro compenso. Risultato: in Italia gli ovociti non ci sono, all’estero sì. E allora le Regioni li acquistano sul mercato internazionale.

I conti sono presto fatti: in media una donatrice percepisce mille euro, il kit necessario a un ciclo di eterologa è venduto da 3 a 10 mila euro. Un’ovobanca è quindi una fonte di guadagno notevole, alimentata in primo luogo dalle richieste italiane sia provenienti sia dalle Regioni che dai singoli. Infatti la coppia può acquistare direttamente l’ovocita (è chiamato il «turismo dell’eterologa») con annesso trattamento e presentare il conto all’Agenzia delle entrare, cioè dedurre la spesa dalla tasse.

«Dal momento che le spese mediche sostenute all’estero sono soggette allo stesso regime fiscale di quelle analoghe sostenute in Italia – ha specificato l’Agenzia delle entrate – le considerazioni valgono anche per le prestazioni di crioconservazione degli ovociti, dei gameti e degli embrioni effettuate all’estero per finalità di cura, previste nel percorso di procreazione medicalmente assistita.

La documentazione delle spese sostenute dovrà essere rilasciata da una struttura di procreazione medicalmente assistita autorizzata dall’Autorità competente del Paese estero. Si ricorda che se la documentazione sanitaria è in lingua originale, va corredata da una traduzione in italiano (se la documentazione è in inglese, francese, tedesco o spagnolo, la traduzione può essere eseguita a cura del contribuente e da lui sottoscritta)».

Non c’è da stupirsi se sul web compaiono allettanti offerte rivolte alle coppie italiane, con tanto di promessa di regolare ricevuta per ottenere il rimborso erariale. Il sito Surrogacymed.it addirittura si presenta così: «Fecondazione assistita con la donatrice degli ovociti russa senza partenze per la Russia».

Come? Semplice. Spiega il sito: «Le tappe del programma: consegna del materiale genetico del padre biologico nella clinica della fecondazione assistita più vicina e crioconservazione, trasporto del materiale genetico in Russia, selezione della donatrice dell’ovulo, fecondazione in vitro, trasporto degli embrioni crioconservati nella vostra clinica della fecondazione assistita».

Il tutto con una spesa da 3.000 a 18 mila euro.In quest’ultimo caso è possibile scegliere «età, istruzione, altezza, peso, segno zodiacale, colore dei capelli e degli occhi e tanto altro» della donatrice. Non solo. Con 26 mila euro la donatrice arriva a domicilio, dalla Russia alla clinica italiana prescelta. E paga il servizio sanitario nazionale.

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Francesco Tomei, responsabile del centro (pubblico) di procreazione assistita di Pordenone e componente della commissione tecnica nazionale ha inviato al ministero una proposta per cercare di superare il dissanguamento finanziario del servizio sanitario: il «social freezing» , ovvero la possibilità offerta alle donne di crioconservare i propri ovociti quando le ovaie sono ancora sufficientemente giovani da produrli, per garantirsi la possibilità di posticipare la maternità o superare eventuali futuri problemi di infertilità. La crioconservazione sarebbe gratuita in cambio della donazione di metà del patrimonio genetico. «Questa soluzione- dice- costerebbe molto meno dell’importazione dei gameti e risulterebbe interessante anche per le donatrici. Ma finora non ho ricevuto risposta».

Vi è infine da rilevare che ogni Regione va per suo conto, così sono previste età massime diverse per le donne riceventi e limiti difformi del numero dei trattamenti praticati.

Per esempio in Veneto il servizio sanitario non prevede l’eterologa per le donne oltre i 43 anni e non concede più di tre trattamenti. Limiti che non vi sono in Friuli. Così la Toscana ha inviato a tutti i suoi centri di fecondazione una circolare con la decisione di non accogliere più le coppie provenienti da Regioni in cui la procreazione assistita non è ancora inserita tra le prestazioni erogate e quindi non avverrebbe la compensazione finanziaria tra le Regioni. Non sarebbero più opportune, su una materia tanto delicata, regole uguali per tutti?

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