Liberate quelle staminali

Migliaia di cellule embrionali bloccate in freezer. Possono salvare vite ma la legge lo proibisce. La nuova battaglia dell’Associazione Luca Coscioni

Stoccati nel freezer di centri pubblici e privati. Bloccati a meno di 196 gradi e custoditi nell’azoto liquido in un tempo sospeso. Hanno la forma impercettibile di una piccola cavità. Potrebbero cambiare la storia della medicina, eppure restano abbandonati nel limbo della scienza. Sono migliaia gli embrioni, anche se il nome corretto prima di essere impiantati nell’utero è blastocisti, reclusi nei piccoli bunker delle biobanche italiane.

Non vengono reclamati, la maggior parte di loro non verranno mai impiantati, eppure per la legge italiana sono prigionieri, nonostante da tempo la scienza chieda di avviare una sperimentazione: gli studi più recenti, infatti, dimostrano che potrebbero prevenire numerose malattie per cui ancora non possediamo una cura.

Era stato deciso per loro un destino comune. Quattordici anni fa dovevano essere trasferiti alla Biobanca Nazionale con sede al Centro trasfusionale e di immunologia dei trapianti dell’Ospedale Maggiore di Milano. Ma dal 2004, anno della sua ideazione, ad oggi mancano i decreti attuativi per poterlo fare, nonostante la struttura sia costata 400.000 euro. In base alla rendicontazione dell’anno successivo, il 2005, la sola disponibile, 74mila euro sono andati per il personale, 96mila per le spese di materiali e software e 230mila usati per dar vita all’area criobiologia. Ad oggi la banca è vuota. Nessun embrione ha mai varcato la soglia. L’intenzione dell’allora ministro della Salute Girolamo Sirchia era dare una casa comune a tutte le blastule-embrionali donate dalle coppie che non potevano più utilizzarle e si prevedeva che sarebbero finite nel centro anche quelle di cui si era persa la provenienza. Nel solo 2005, ultimo dato fornito dal Ministero della Saltue, se ne contavano circa 2.527. Da undici anni nessuno è stato più in grado di fare una stima precisa.

È l’ultimo frutto avvelenato della legge 40 sulla fecondazione assistita. Ma se non si muove la politica, ci sono le corti internazionali

Da Sirchia in poi è calato il velo. Da allora, tra interpellanze parlamentari, report e battaglie ideologiche, la comunità scientifica italiana è in attesa che si possa iniziare la sperimentazione su queste cellule dal potenziale inestimabile. Al momento niente da fare, colpa della Legge 40, ancora una volta. A quattordici anni dall’entrata in vigore, un referendum nel 2005 (fallito per mancanza di quorum), quando Rita Levi-Montalcini si schierò per il Sì: “Si arrivi all’abrogazione di quelle parti più oscurantiste di questa legge e si permetta la ricerca scientifica”.

Quando fu approvata, dopo anni di battaglie parlamentari e di vuoto legislativo, i sostenitori promisero che avrebbero messo ordine alla materia, invece si è aperta una lunga stagione di incertezza, di diritti violati, di una guerra combattuta nelle aule di giustizia di tutta Italia. Trentotto pronunce dei tribunali, tra cui quattro di incostituzionalità della Corte costituzionale e una setnenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo che condanna l’Italia per violazione della Carta Edu. Sono i numeri di quella che in gergo tecnico viene chiamata “Nome in materia di procreazione medicalmente assistita”. I divieti si sono sgretolati uno dopo l’altro: dall’impianto di solo tre embrioni alla possibilità di accedere alla fecondazione eterologa.

Ma resta in vigore l’articolo 13 in cui c’è scritto: “È vietata qualsiasi sperimentazione su ciascun embrione umano”. Una norma che ora tiene imbrigliata la sceinza. Nell’Italia delle contraddizioni la sperimentazione è consentita solo su cellule donate da centri esteri ai centri italiani. A impedire il progresso ci sono però i bandi ministeriali creati ad hoc per estromettere progetti di ricerca che abbiano come soggetto di studi le incriminate cellule. Un altro problema è la possibilità di effettuare test nella sola fase iniziale.

Impiantarlo in un essere umano per capirne i possibili benefici è vietato. Non solo. Come reso noto dal Ministero della Salute: “Si segnala che i fondi stanziati con la legge 40/2004 per favorire studi (…) sulle tecniche di crioconservazione dei gameti, sono diminuiti progressivamente nel tempo; pertanto, negli ultimi anni, per esiguità delle somme stanziato non è stato possibile indire ulteriori bandi di ricerca”.

Nel frattempo l’Europa va avanti. Al Moorfields Eye Hospital di Londra nel marzo di quest’anno sono riusciti, utilizzando cellule staminali, a far riacquistare la vista a un uomo di 86 anni ed a una donna di 60. I medici, come spiegato sulla rivista Nature Biotechnology, hanno ricostruito un nuovo epitelio pigmentato della retina, riuscendo ad impiantarlo chirurgicamente nella parte posteriore dell’occhio. Risultato: alla sperimentazione prenderanno parte altri otto pazienti per accertare che le cellule trapiantate non diventino cancerose anche se al momento non si è riscontrato nessun episodio del genere.

E mentre la medicina procede spedita, a Bruxelles, dall’11 al 13 aprile al Parlamento Europeo, si terrà per discutere sulle nuove tecniche di ricerca un Congresso mondiale per la libertà di ricerca scientifica organizzato dall’Associazione Luca Coscioni, dal titolo “Science for democracy: towards the human right to science.” “Tra gli argomenti maggiormente dibattuti c’è il genoma editing“, spiega l’ex senatore radicale Marco Perduca, membro dell’Associazione Coscioni.

Il primo summit sul genoma editing umano risale al 2015. Fu allora che la comunità scientifica precisò due regole prima di iniziare qualsiasi studio: procedere solo qualora fossero chiarite l’efficacia e la sicurezza della pratica, e solo in caso di ampio consenso sociale sull’appropriatezza di questi tipi di interventi. Per genoma editing si intende la correzione di un difetto genetico degli embrioni grazie a “forbici molecolari” che tagliano il punto danneggiato, attraverso un meccanismo di riconoscimento. Una volta fatto il taglio e la riparazione, il fanno viene eliminato nelle generazioni future. In questo modo si potrebbero prevenire gravissime malattie.

L’Italia, nella sua incertezza normativa, pur vietando la sperimentazione sugli embrioni, promuove la modificazione genetica per tutelarne la salute. Ed ecco tornare nuovamente la legge 40 con il suo articolo 13 che, al comma 2, recita: “La ricerca clinica e sperimentale su ciascun embrione è consentita a condizione che perseguano finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche a essa collegata volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell’embrione stesso qualora non siano disponibili metodologie alternative. L’italia potrebbe quindi traghettare il progresso scientifico. È infatti del 1997 la convenzione di Oviedo, quando l’Europa decise di proibire ogni intervento genetico sulla linea germinale. In poche parole su ogni materiale genetico che potesse essere trasferito ad un discendente. L’Italia non ha mai ratificato la Convenzione.

Questo significa che il genoma editing potrebbe essere studiato, ma per Marco Perduca “al momento non esistono scienziati così coraggiosi da preferire una rivoluzione alla carriera”.

Un’assenza che si somma al numero esiguo di ricercatori che provano a chiedere la liberazione delle migliaia di blastocisti – embrionali che potrebbero salvare la vita a numerosi bambini se solo si potesse iniziare con le sperimentazioni.

Ma se la legge questa volta lascia un’ampia apertura, il dibattito ideologico si radicalizza. Il timore è che si potrebbe arrivare a una selezione della specie umana. Per alcuni “genoma editing” è infatti sinonimo di eugenetica. Ma una parte della comunità scientifica internazionale tenta di chiarire: si potrebbe evitare la trasmissione di malattie come l’anemia mediterranea o evitare l’Alzheimer degenerativo.

Se il genova editing rimane un sogno, la diagnosi preimpianto è invece un miraggio. Eppure questa indagine clinica, eseguite su una blastocisti – embrione fatta prima del suo trasferimento in utero, potrebbe evitare gravidanze difficili e la trasmissione di patologie genetiche a tutte quelle coppie che hanno problemi di infertilità. Ma in Italia viene eseguita sono in cinque centri su 112, mentre nelle cliniche private la tecnica è a carico dei pazienti.

Adesso il passo successivo è eliminare i tabù della legge 40, chiarisce Filomena Gallo, avvocato e segretario dell’Associazione Luca Coscioni: “Ci sono voluti diversi anni prima che i genitori potessero iniziare i cicli. Dal 2009 la Corte costituzionale ci ha dato ragione, smontando pezzo per pezzo una legge sulla fecondazione assistita che non doveva esistere”.

E in effetti dopo quattordici anni la legge sulla procreazione rimane l’emblema del diritto calpestato, tanto da essere chiamata “esterologa”, come ironizza Gallo, visto che tra costi altissimi e tempi di attesa elefantiaci, la maggior parte delle coppie emigra verso Spagna o verso altri paesi. Mancano i donatori, i gameti e gli ovociti vengono importati all’estero, il governo e le regioni non investono nelle campagne di sensibilizzazione.

“Siamo in un limbo costante” afferma la Gallo, “in cui per affermare diritti, vista la mancanza di volontà politica, bisogna chiedere di volta in volta l’intervento della magistratura, per riuscire a ottenere diritti costituzionamente garantiti, come quello alla scienza, alla ricerca alla possibilità di usifruire dei frutti della ricerca.

Un limbo come quello degli embrioni crioconservati, come quelle delle tante coppie in attesa di un donatore, come quello di chi a causa di una diagnosi preimpianto aspetta. Nella speranza di non perdere il sogno atteso.