Brittany, le parole della Chiesa sono ingiustificabili

Il Garantista
Mina Welby

Alle dichiarazioni di Monsignor Carrasco de Paula, Presidente dell’accademia pontificia, “suicidarsi non è una cosa buona, è una cosa cattiva perché è  dire no alla propria vita e a tutto ciò che significa rispetto alla nostra missione nel mondo e verso le persone che si hanno vicino” rispondo con le parole di mio marito Piergiorgio che prima di morire mi disse: “Io non sono né un malinconico né un maniaco depresso – morire mi fa orrore, purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita, è solo un testardo e insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche.” Su queste questioni non è costruttivo un dibattito nominalistico su cosa sia ‘vita’ e ‘dignità’:  come ha sottolineato chiaramente Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, “la parola “dignità”, evocata dal Presidente dell’accademia pontificia, è un termine ambiguo, che noi preferiamo non usare perché sembra richiamare la possibilità di un giudizio oggettivo e superiore. Come associazione Luca Coscioni preferiamo parlare di libertà ed autodeterminazione, rimandando al giudizio del singolo sull’opportunità o meno del proprio morire: quella “morte opportuna” della quale parlava anche il teologo Pohier”. L’eutanasia, o semplicemente il rispetto delle singole volontà in materia di fine-vita, non rappresenta affatto la logica conseguenza di una società che non vuole pagare i costi della malattia, come evidenziato dal prelato.  Io sono credente: eppure ho assistito mio marito Piergiorgio, attraverso un percorso travagliato della mia coscienza, verso la dolce morte. L’ho curato dal primo istante in cui ha avuto bisogno di me e lo avrei fatto ancora fino a quando avrei avuto le forze. Ma, pur col cuore colmo di sofferenza, ho deciso di rispettare la sua volontà e lasciarlo andare. Alzi la mano chi è pronto a sostenere che Piergiorgio non ha ricevuto le cure necessarie! Portare avanti la battaglia per il diritto all’eutanasia non equivale affatto a disincentivare le politiche per l’assistenza. Come Associazione Luca Coscioni da anni ci battiamo per promuovere l’assistenza personale autogestita e affermare i diritti umani, civili e politici delle persone malate e disabili. Proprio ieri eravamo davanti al Ministero dell’Economia per chiedere che non vengano tagliati i fondi per i malati. Suicidio assistito o eutanasia non sono affatto in contrapposizione con le cure palliative e l’assistenza. I dati di fatto mostrano che le cure di fine vita e il diritto ad una morte dignitosa possono coesistere e rafforzarsi vicendevolmente. In Belgio, ad esempio, le cure palliative sono inserite tra le “buone pratiche mediche”, e al tempo stesso si è scelto di regolamentare l’eutanasia invece che relegarla nella clandestinità, come nel nostro Paese. In Italia, infatti,  come denunciato da un’inchiesta di Fainotizia-Radio Radicale, “c’è una legge del 1999 che ha stanziato dei fondi per la costruzione di hospice pubblici: peccato che in molte Regioni questi fondi siano rimasti inutilizzati oppure messi a disposizione dei privati; di fatto la mancata gestione pubblica della rete determina una discriminazione nell’accesso alle cure”. Allo stesso tempo si lascia che le persone si suicidino gettandosi da un balcone o se hanno la possibilità vadano a morire in esilio in qualche clinica svizzera. Ma di questo ne parliamo solo quando qualche Brittany nel mondo o Monicelli e Lizzani in Italia con le loro morti drammatiche riaprono il dibattito. Qui è l’errore: non si possono concedere le prime pagine alla parola eutanasia sono in questi casi che sono la punta di un iceberg. Dietro ogni singola storia c’è una situazione politica determinata: quella liberale dell’Oregon e quella proibizionista dell’Italia. E allora la politica cominci ad occuparsi seriamente del fenomeno dell’eutanasia clandestina: l’Associazione Luca Coscioni ha depositato il 13 settembre 2013 alla Camera dei deputati una proposta di legge di iniziativa popolare per la liceità dell’eutanasia e il testamento biologico, che giace dimenticata in parlamento.