I Radicali, la lista “Più Europa” e il regime

“E il regime?”. “Quale regime?”. Sono due domande che meritano una riflessione prima ancora che una risposta. Da quando alla fine degli anni cinquanta, con Ernesto Rossi e Mario Pannunzio, denunciavamo che si stava andando “Verso il Regime”, come affermava il titolo di uno dei convegni degli “Amici del Mondo”, il Regime non ha mai cessato di esserci, di evolversi, di penetrare, controllare, infettare, degradare gli istituti della democrazia repubblicana. Con Pannella nella “Peste italiana” abbiamo definito questo processo “la metamorfosi del male” che si è trasferito dal fascismo alla democrazia, trasformata in partitocrazia. E Giuliano Amato, un socialista, un “uomo del regime” dunque, l’unico che si sia avvicinato alle nostre analisi, riconobbe che la concezione del “Partito-Stato” propria del PNF si era, dopo la guerra e la Resistenza, solo mutata da “singolare in plurale”.

Ciò che dovrebbe esserci chiaro è che non è un sistema di potere immobile, ma mutevole e capace di adeguarsi ai mutamenti sociali oltre che ai mutamenti degli equilibri politici e che, apparentemente, solo apparentemente, sconquassato dai primi e dai secondi, è oggi più forte e pericoloso che mai nel produrre illegalità e di conseguenza ingiustizia e ineguaglianza, soffocamento della libertà.

Valgano alcuni esempi. Aumenta il potere discrezionale della burocrazia, di ogni burocrazia, anche quella giudiziaria, indotto dalla iperproduzione legislativa e dalla sua  approssimazione e crescente indeterminatezza normativa. Le peggiori abitudini della degenerazione partitocratica della vita politica sono assimilate e fatte proprie dalle forze che amano presentarsi come alternative (dalla Lega di Bossi a quella di Salvini, dall’Italia dei Valori di Di Pietro al Movimento 5 Stelle di Grillo). Dalla abrogazione della legge Mattarella, tutte le riforme elettorali volute dal centrodestra o dal centrosinistra o da entrambi gli schieramenti – dal Porcellum al Rosatellum passando per l’Italicum – sono stati caratterizzati dal ritorno al proporzionale, vera e propria costituzione materiale della partitocrazia e dall’obbligo per gli elettori di votare candidati o liste di candidati scelti da chi controlla gli apparati di ciò che resta dei partiti: legislatori quindi spesso dipendenti dai loro capi e privi di ogni rappresentatività e autonomia. Infine assistiamo ad un fenomeno singolare: una partitocrazia senza partiti o con agglomerati e apparati di potere che di partito hanno mantenuto solo il nome perché, vissuti sempre fuori della attuazione dell’art. 49 della Costituzione, hanno perso ogni funzione di intermediazione fra la società e le istituzioni, che dovevano consistere nel concorrere con i loro programmi e obiettivi, alla “determinazione della politica nazionale”.

Ciò che per un radicale dovrebbe essere chiaro è che la lotta al Regime non passa e non può passare per lo sfascismo che viene ogni giorno alimentato dalla promessa di svolte miracolistiche e immediate, ma da una azione coraggiosa e tenace, tenacemente intransigente, di opposizione e di dialogo, di alternativa democratica e non violenta, di ricostruzione istituzionale. Come abbiamo fatto quando negli anni 70 abbiamo tentato di rallentare e bloccare la degenerazione ulteriore del regime con la nostra lotta per i diritti civili, come abbiamo continuato a fare con i referendum e perseguendo il mutamento delle leggi proporzionali con un sistema uninominale per l’elezione delle Camere e uno maggioritario per Regioni e Comuni; come  tentò di fare Pannella dialogando inutilmente con Berlusconi, Fini e Bossi sulla triade “uninominale, federalismo, presidenzialismo” e poi dialogando e promuovendo alleanze con l’Ulivo e con il Partito Democratico (il Regime c’era anche allora quando ci candidavamo con la Rosa nel Pugno o quando accettavamo il diktat di Veltroni di partecipare con i nostri candidati alle liste del PD ed essere rappresentati da un nostro “coordinamento” all’interno dei suoi gruppi parlamentari).

Non ci facciamo illusioni sulle difficoltà dell’impresa. Sappiamo anche di non essere immunizzati, come chiunque altro, dai condizionamenti negativi di questa situazione politica. Ma riteniamo di dover impegnare, di dover rischiare tutto il nostro patrimonio ideale – liberale, libertario, nonviolento, federalista europeo – in questo sforzo, al di fuori del quale rimane solo una strada: quella della diserzione e della assenza che si tradurrebbe, e per chi la sceglie si tradurrà, in un aiuto indiretto alle forze sedicenti populiste, in realtà nazionaliste, razziste e sfasciste che possono solo far fare un altro negativo salto di qualità alla degenerazione antidemocratica e anticostituzionale del regime, aumentandone il tasso di illibertà, di illegalità, di intolleranza verso i diversi, i deboli, gli ultimi.

P.S.: le due domande erano contenute in una vignetta. Come si sa la satira pretenderebbe di assicurare alle vignette una sorta di porto franco per ogni volgarità (anche quella di far parlare i morti) ed ogni contenuto diffamatorio. Astratte dal quel contesto, sono invece due domande che abbiamo ben presenti nelle nostre scelte e che ci pongono problemi di cui siano consapevoli. Facciamo ciò che dobbiamo e accada ciò che può. Sappiamo anche che se ce la dovessimo fare, allora cominceranno i problemi e le responsabilità.