Dieci motivi per dire No al ddl Pillon

Decreto Pillon

Lo scorso agosto è stato assegnato alla commissione Giustizia del Senato il disegno di legge 735, “definito ddl Pillon” con il nome di chi ne ha la paternità: il senatore della Lega Simone Pillon, avvocato e mediatore familiare, uno degli organizzatori del Family Day.

Il disegno di legge introduce una serie di modifiche in materia di diritto di famiglia, separazione e affido condiviso dei minori.

Attualmente il testo è ancora in fase di discussione in commissione al Senato ma ha immediatamente provocato una reazione da parte di noi tutti completamente contrari a un testo che modificherà in peggio il diritto di famiglia a danno dei figli, della moglie. Non solo, creerà disuguaglianze nell’accesso anche agli strumenti di difesa e non affronterà nessuno dei problemi che sono invece ancora da risolvere.

Ma facciamo un passo indietro per raccontare la genesi e l’evoluzione di questo disegno di legge definito dalle relatrici speciali delle Nazioni Unite sulla violenza e la discriminazione contro le donne, Dubravka Šimonović e Ivana Radačić, come «una grave regressione che alimenterebbe la disuguaglianza di genere», non tutelerebbe le donne e i bambini che subiscono violenza in famiglia.

Quando una coppia decide di separarsi si ritrova a fronteggiare tante questioni, tra le altre una prioritari: l’affidamento dei figli. A tal proposito, nel 2006 è entrata in vigore la legge sull’affido condiviso, rimangono però alcuni aspetti da tutelare meglio negli altri rapporti tra i coniugi.

Secondo l’Istat, con l’entrata in vigore della legge sull’affido condiviso n.54 del 2006 la quota di affidamenti concessi alla madre si è ridotta. Il sorpasso vero e proprio è avvenuto nel 2007 (72,1 per cento di separazioni con figli in affido condiviso contro il 25,6 per cento di quelle con figli affidati esclusivamente alla madre), per poi consolidarsi ulteriormente.

Ma tutto ciò potrebbe cambiare con il ddl Pillon – qualora diventasse legge – che imporrebbe una visione patriarcale del rapporto marito-moglie-figli.

Voglio, quindi, condividere con voi la mia opposizione al disegno Pillon e i 10 motivi ben precisi per cui dico “no”.  

1) L’interesse del minore non sarebbe prioritario

Il disegno di legge è declinato in chiave adultocentrica e cancellerebbe il principio secondo cui l’interesse del minore deve prevalere su ogni diverso interesse. Questa visione ribalterebbe i rapporti tra i genitori, dettando misure apertamente in favore degli uomini e favorendo una interpretazione conflittuale della separazione e del divorzio.

2) Dividerebbe il figlio in due, usando la spada del re biblico Salomone

Il testo riporterebbe in vita, al posto dell’affido condiviso, il famigerato affidamento alternato, da tempo bocciato dalla dottrina psicologica e sociale. Abolirebbe quindi con disposizioni astratte ed aprioristiche (es: il figlio deve restare almeno 12 giorni al mese con ciascun genitore) l’indispensabile margine di duttilità ed adattamento alla realtà del caso concreto che la legge ora ha.

3) Ostacolerebbe il divorzio

Il ddl vuole rendere più complicato e oneroso l’accesso alla separazione e al divorzio introducendo procedure complesse e soprattutto accessibili solo a chi se le può permettere dal punto di vista economico. La coppia dovrebbe necessariamente pagare un mediatore familiare, perché la mediazione diventerebbe obbligatoria anche per le separazioni consensuali. La durata della procedura potrebbe essere anche di  6 mesi, i costi saranno suddivisi tra i coniugi.

A questi costi si andrebbero ad aggiungere comunque i costi della propria consulenza legale. I legali non potrebbero partecipare agli incontri successivi al primo e tutto ciò che accade durante gli incontri rimarrebbe coperto dal segreto professionale, precluso anche ad avvocati e giudici. Sarebbe prevista la nomina del coordinatore genitoriale a carico dei genitori.

4) Sdoganerebbe l’alienazione genitoriale

Con questo testo, si avrebbe lo sdoganamento della categoria della sindrome da alienazione genitoriale, non riconosciuta dalla medicina ufficiale, presupponendone l’esistenza anche senza prova.

5) Aumenterebbero le condizioni di disparità per i genitori e per i figli

Il disegno di legge costringerebbe il giudice a versare direttamente nelle mani del figlio diciottenne quanto necessario per il suo mantenimento, anziché darlo al genitore con cui lo stesso convive. Priverebbe di ogni sostegno il figlio che, all’età di 25 anni, non si sia reso ancora autonomo economicamente.

6) Più spese e più burocrazia per chi si separa

La figura del coordinatore genitoriale introdurrebbe in materia familiare un arbitrato privo di garanzie: moltiplicherbbe le spese per i separandi, introducendo una mediazione obbligatoria in aggiunta ai costi dell’avvocato e senza gratuito patrocinio, e aumenterebbe la burocrazia nei procedimenti di separazione, imponendo obblighi ed adempimenti ulteriori rispetto a quelli già esistenti.

7) Penalizzerebbe il genitore meno abbiente

Ad esso, infatti, viene negata la possibilità di tenere con sé i figli ove non sia in grado di provvedere alle spese per un alloggio.

8) Anche la possibilità di costituire nuove famiglie sarebbe penalizzata

Penalizzerebbe la costituzione di nuove famiglie negando la possibilità di restare nella casa coniugale anche nel caso in cui ciò corrisponda all’interesse dei minori.

9) Farebbe saltare il principio dell’obbligatorietà di audizione dei minori capaci di discernimento

Farebbe compiere passi indietro al principio dell’obbligatoria audizione di minori capaci di discernimento, che costituisce una conquista civile, solennemente affermata da Convenzioni internazionali.

10) Non agevolerebbe il contrasto alla violenza familiare sulle donne.

L’obbligatorietà del ricorso ad un mediatore privato nelle separazioni con figli minori, comprese quelle legate a violenza e abusi. Nella lettera delle relatrici delle Nazioni Unite al governo italiano si ricorda che la mediazione familiare può «essere molto dannosa se applicata ai casi di violenza domestica» e che tale imposizione viola la Convenzione di Istanbul che l’Italia ha sottoscritto nel 2003. Questo disegno di legge cancella  i casi in cui le separazioni sono dovute a violenza costringendo la vittima a negoziare con il proprio aggressore.