Mina Welby: «E’ un atto di pietà. Medici e genitori vanno rispettati»

Il ricordo corre a San Candido, un paese di 2.000 anime in provincia di Bolzano. Le comitive di bimbi giocavano «a morire», si divertivano. Mina Welby abitava accanto al cimitero che la sera si accendeva di lumicini. I piccoli scorrazzavano lì intorno.

«Non avevamo affatto la percezione della fine come punto di non ritorno», cala quelle immagini nella realtà la presidente dell’Associazione Luca Coscioni, moglie di Piergiorgio Welby, malato di distrofia muscolare, fino agli ultimi istanti di vita impegnato nella battaglia sulla libertà di scelta dell’individuo.

Signora Welby, il suo racconto però non avvalora il principio secondo il quale un minorenne proprio in virtù dell’assenza di percezione non debba esprimere volontà sul fine vita?

«No, al contrario, ne ha la capacità. La sofferenza causata dalla malattia lo porta a questa scelta, accompagnato dalle parole dei genitori. In Olanda e Belgio, dove l’eutanasia è legale, la pensano diversamente rispetto a noi e infatti si sono dotati di una legge che risponde agli interrogativi di tutti noi».

Una diversa mentalità e cultura non dovrebbero giustificare un atto così estremo. Non dice?

«In Belgio è stata creata una commissione speciale che deve valutare le richieste e non dubito che abbiano deciso nella maniera più giusta».

Più giusta per chi?

«Per il minore. Non riesco a immaginare che famiglia e medici abbiano agito contro i suoi diritti. Pensiamo a situazioni tragiche. Una forma di tumore infantile che procura strazio, l’impossibilità di deglutire. In questi casi senza speranza essere accompagnato verso la morte è un atto pietoso».

Pietosa l’eutanasia?

«Per favore, non usiamo la parola eutanasia. Meglio dire che non volevano farlo soffrire oltre. Proprio per sgombrare il campo da questi interrogativi noi della Associazione Coscioni auspichiamo l’arrivo di una legge sulle dichiarazioni di volontà e il fine vita. È appena stata incardinata in Parlamento».

Lei dunque da piccola vedeva la morte in modo positivo ed è certa di poter trasferire la sua esperienza su altri?

«A 10 anni presi un’infezione alle ghiandole linfatiche, stavo per andarmene. Mamma accese un lumino accanto al letto e accarezzandomi, senza piangere, mi disse non aver paura, andrai dagli angeli. Non smetteva mai di parlarmi. Mi immaginavo felice in paradiso. Superai la notte e le successive».

Non lo ritiene un precedente pericoloso quello del Belgio?

«No, non c’è un pericolo di reiterazione. Lei pensa che per una coppia di genitori privarsi di un figlio, anche se malatissimo, sia facile?».